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Cimiteri, città della speranza

La fede nella resurrezione dei morti ha generato nel mondo cristiano una peculiare architettura funebre

​Maria Antonietta Crippa


Gallerie sotterranee a più altezze e in forma di labirinti lunghi vari chilometri, le catacombe (dal greco katá kýmbas, “presso le grotte”) divennero, nei primi secoli dopo Cristo, luoghi di sepoltura soprattutto per i cristiani, ma anche per gli ebrei. Scavate in diverse località italiane (come Napoli e Siracusa), a Malta e nell’Africa settentrionale, esse furono molto numerose attorno a Roma, lontano dall’abitato e lungo le vie consolari. Nelle pareti (dette cryptae) i loci o loculi sovrapposti a più piani erano tombe chiuse con lastre di marmo o mattoni, alcune sovrastate da nicchie (arcosolia). Piccole sale (cubicula) venivano destinate a tombe di martiri o a riti di commemorazione (come la Cappella greca nelle catacombe di Priscilla e la Cripta dei papi in quelle di Callisto). Per distinguere le tombe si individuano tuttora sia i nomi incisi, sia segni con valore di simboli (tracciati con neri di carbone o graffiti su intonaco fresco nel quale venivano affondate monete, frammenti vitrei, monili, spille e piccoli balocchi, cammei preziosi, lucerne, ampolle), sia pitture con soggetti che reinterpretavano miti pagani e figure come l’Orante, il Filosofo, il Buon Pastore, o che accennavano al culto cristiano (il Convito celeste, il Giardino del paradiso, i pani e il pesce). I segni fissavano verità di fede e gioiosa certezza nel destino di resurrezione, annunciato ai convertiti dai primi testimoni della vita di Gesù Cristo. Fu san Filippo Neri, nel XVI secolo, a promuovere una devozione per questi luoghi, presto oggetto di studi della nascente archeologia cristiana.
Dalle catacombe e dai cimiteri suburbani, condivisi dai primi convertiti con i non cristiani, si passò ben presto alle sepolture ad santos, alle chiese sepolcrali (martyria, confessiones, memoriae), alle grandi basiliche, mete di pellegrinaggi per le reliquie che custodivano; successivamente a sempre più numerose chiese urbane, spesso con reliquie visibili tramite fenestrellae confessionis, ma anche con sepolture di gente comune, dapprima al loro interno e poi nelle aree cimiteriali circostanti.
Secoli di confidenza tra vivi e morti nell’attesa del risveglio di tutti nel finale Giudizio universale, scrisse il grande storico Jacques Le Goff, generarono nel Medioevo «città di vivi e di morti» fuse in unità. Nell’abitato intra muros i morti erano venerati in tombe isolate, in sepolcri collocati nelle chiese, in cimiteri urbani. Fu un cambio di paradigma insediativo di capitale importanza nella «rivoluzione urbana, materiale e mentale, del Medioevo». Il cimitero divenne allora, come le chiese, luogo sacro, godette del privilegio del diritto d’asilo. Dove il controllo sociale si allentò, ospitò feste e duelli; talvolta fu persino anche piazza per mercati.
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