Ciol, orizzonti di luce e di terra
Occhi socchiusi e cura contadina in ogni scatto: così il fotografo immortala l’anima del paesaggio

Concrete astrazioni (2005). Arizona (Stati Uniti), Antelope Canyon
Ottantaquattro primavere e l’entusiasmo del ragazzo che usciva di corsa dalla camera oscura, dove aveva passato ore, per buttarsi nel sole del cortile che l’accecava. «Ho scoperto così la geometria della natura. La luce era forte e dovevo stringere gli occhi. Con le palpebre serrate restavano solo le linee essenziali, come delle mappe di chiaroscuro, l’ossatura interiore delle creature e del creato». Accadeva soltanto ieri, quando la guerra era di casa in Friuli e i nazisti occupavano Casarsa della Delizia (abbiamo raccontato di Ciol in “Luoghi dell’infinito” 127, marzo 2009).
«Così è cambiato il mio modo di vedere: uscivo in campagna e socchiudevo gli occhi per cogliere l’essenzialità del disegno. Prima ero frastornato dalle cose, ora potevo mettere ordine allo spazio. Quando inquadro un paesaggio nel mio obiettivo non cerco di cogliere la bellezza dell’attimo, ma un’armonia più profonda. La cura che metto in ogni scatto l’ho imparata dai contadini». È la cura che lega le generazioni e che fa della terra una casa feconda: lavori che non guardano all’indomani, ma agli anni a venire. «Il vero ha un fascino estremo e la fotografia è un modo più profondo di vedere la realtà. Per questo ho scelto di fotografare cose semplicissime»......
di Giovanni Gazzaneo