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Dono e tradimento, la trama dell’Alleanza

Da Adamo in poi il rapporto tra Dio e l’uomo è uno scambio di parole. Non sempre comprese

​La premessa di un dialogo è posta da Dio con la creazione del mondo. Affermato che la Creazione avvenne nel tempo e dal nulla (Gn 1,1), la Torah subito ci comunica che il mondo venne all’essere tramite la Parola (ibid. 1,2).
Parola, dunque, che crea, ma anche parola come effetto o risultato di quella stessa Parola. Davàr, infatti, in ebraico possiede il significato duplice di “parola” e di “cosa”. L’inizio di un dialogo tra Dio e l’essere umano è immediatamente successivo alla creazione dell’uomo e della donna. È come se Dio sperimentasse il bisogno di comunicare con l’essere umano. Parimenti, è come se l’essere umano da parte sua avvertisse la necessità, anche se con sentimenti contrastanti, di ascoltare quella voce al fine di vedersi collocato nel luogo riservatogli in seno alla Creazione.
Nel dialogo tra Dio e Adamo possiamo cogliere due elementi connotanti l’essere umano: a) il possesso del libero arbitrio; b) il divieto di mangiare del frutto dell’albero della conoscenza. In sostanza, all’essere umano viene concesso un libero arbitrio non assoluto, ma unito al principio del limite (Gn 2,16-17). Una condotta di vita senza limiti sfocia nell’arbitrio e nella disubbidienza. È ciò che accadde ad Adamo, a Eva e a Caino, i quali sono prontamente chiamati a rendere conto della loro condotta, che aveva infranto l’ordine divino in relazione al limite.
Assistiamo così al dialogo primigenio di Dio con l’umanità: Dio interroga e la creatura risponde. Il contenuto di quelle risposte, tuttavia, non è propriamente esaltante. Nel caso di Eva e di Adamo si oppone l’acquisita coscienza della propria nudità (Gn 3,10); nel caso di Caino, si argomenta in maniera tracotante e blasfema, opponendo a Dio, interrogante l’omicida, di non essere custode di Abele, quasi a voler declinare ogni responsabilità nei riguardi di quest’ultimo.
Nei dialoghi in questione Dio pone delle domande retoriche per indurre sempre al pentimento, al cambio di rotta e all’espiazione, ottenendo però risposte che appaiono inadeguate e disperanti. Quella di Adamo, nascostosi dal Signore nel giardino di Eden, fu di aver sentito la voce dell’Eterno e di aver preso paura; quella di Caino è terribile, sembrando egli voler scaricare su Dio stesso la principale responsabilità per l’omicidio del fratello, come a dire: “se Tu ci tieni tanto alle Tue creature, custodiscile meglio!”.

di Giuseppe Laras