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Ezra Pound. Il doge americano

Il poeta dei “Cantos” è il vero cantore moderno di Venezia. Qui visse, qui morì e qui è sepolto

​Nella laguna di Venezia la piccola isola di San Michele è un’oasi di silenzio. È a una sola fermata di vaporetto dalla città, davanti alle Fondamenta Nuove, ma tra i suoi cipressi si entra in un’altra dimensione, senza la colorata calca dei turisti o le voci sincopate dei navigatori degli smartphone. San Michele è il cimitero della città, ordinato e decadente: oltre le sue alte mura in terracotta si trovano diverse tombe di personaggi celebri, da Stravinskij a Helenio Herrera. La zona più suggestiva è forse quella Evangelica: la vegetazione prevale sulla memoria, ci sono marmi spezzati, iscrizioni mangiate dal tempo e molto abbandono. Qui riposa Ezra Pound (1885-1972), il poeta che a Venezia dedicò alcuni dei passi più ispirati della sua opera. Non è facile trovare la sua tomba, le indicazioni non aiutano, l’erba è piuttosto alta. Poi, sul terreno, vicino a una pianta d’alloro, d’improvviso si scoprono due semplici lapidi in marmo. Una per il poeta dei Cantos, l’altra per la violinista americana Olga Rudge (1895-1996), la compagna più amata che gli diede la figlia Mary.
Guardando quella lastra viene in mente la prima versione del Canto LXXXIV (si può leggere nei Canti postumi curati da Massimo Bacigalupo per Mondadori), quando Pound immaginò la propria sepoltura: «Ma dalla mia tomba sorga una tale fiamma di amore / che chiunque passi ne provi calore; / i gatti randagi si acciambellino / là dove non è lapide / e gli occhi delle ragazze scintillino al luogo non segnato / i rancori cessino / e un lento sopore di pace pervada il passante».
Per affacciarsi al mondo “veneziano” di Pound, forse si può partire cercando quel “nido nascosto” in cui abitò con Olga. Bisogna recarsi allora in calle Querini 252, non lontana dalla bianca e bellissima basilica di Santa Maria della Salute. Una via stretta e cieca che s’imbocca dal rio della Fornace.
In Discrezioni, il suo vivacissimo memoir, Mary de Rachewiltz racconta le mattinate veneziane con il padre poeta. Dopo aver preso il traghetto a Punta del Giglio o a San Marco, facevano una prima tappa al «Bar Americano sotto l’Orologio, per un panino e un’aranciata». Poi andavano «su per le Mercerie a un negozietto dove si sceglieva una miscela di caffè… Qui si comprava anche grossi blocchi di cioccolato amaro, e io potevo portare il pacchettino. Poi da Moriondo, per il fragrante Apfelstrudel, e cioccolatini alla menta… Ritorno in Piazza, dove spesso ci si imbatteva in amici; dal giornalaio accanto all’ufficio postale, per giornali inglesi e francesi. Da un altro pasticcere, Colussi, per salatini al formaggio. Al panificio per il pane a cassetta, croissants e grissini, e un po’ di conversazione con la moglie del panettiere, su grano, farina, prezzi. Voltato l’angolo, la fruttivendola… e consigli nella scelta del melone, pesche, fichi, insalata fresca croccante ricciolina, e pomodori non troppo maturi. Alla porta accanto, il macellaio: altro consulto sulla carne da tritare, le fettine di vitello o di fegato. Poi il pizzicagnolo, dove la scelta del formaggio si faceva difficile fra stracchino, belpaese, mascarpone, olandese o gruviera. Infine, e di rado, nella drogheria accanto per un pacchetto di menta…».