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Gentile e Raffaello i due Rinascimenti

Il primo era nato a Fabriano, il secondo a Urbino: entrambi sono stati protagonisti del loro tempo. Ma nelle Marche non resta quasi traccia del loro passaggio

​Elena Pontiggia

Le Marche sono la patria del maestro forse più amato di tutti tempi, Raffaello, ma anche del meno noto Gentile da Fabriano, che solo in anni recenti è stato, per così dire, rivalutato. Una volta la sua pittura tardogotica immersa nel­­l’oro e carica di ornamenti era considerata arretrata rispetto alla nascita del Rinascimento, che avviene poco dopo. I manuali di storia dell’arte contrapponevano la sua Adorazione dei Magi, 1423, tutta ori, commissionata dal raffinatissimo Palla Strozzi (ora custodita agli Uffizi di Firenze), alla nuda, romana, volumetrica Adorazione dei Magi, 1426, di Masaccio (Gemäldegalerie der Staatlichen Museen di Berlino), dove l’oro non c’era più e iniziava quella riscoperta del­l’Antico, e non solo, che è stata chiamata appunto Rinascimento. La contrapposizione aveva qualche ragione di essere, se è vero quello che diceva un pittore del Novecento, Renato Birolli: «L’arte non vuole che si faccia dopo quello che andava fatto prima». Tuttavia non bisogna nemmeno cadere nella logica evoluzionistica delle avanguardie, perché non conta solo fare per primi, ma anche fare bene. E Gentile ha fatto benissimo, con la sua arte che fa pensare al Paradiso. Qualcuno, anzi, l’ha definita “l’altro Rinascimento”.
Lo si vede nel Polittico di Valle Romita, dipinto intorno al 1406-1411 e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. La grande pala era destinata all’eremo francescano di Santa Maria di Valdisasso (denominato, fino all’Ottocento, “di Valle Romita”), vicino a Fabriano. L’eremo era stato acquistato alla fine del 1405 dal signore di Fabriano, Chiavello Chiavelli, che l’aveva designato come luogo della sua sepoltura e per questo aveva voluto quel sontuoso polittico, alto quasi tre metri, largo due e mezzo e, in realtà, estraneo alla tradizionale povertà francescana.