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Guerra e pace sulle Dolomiti

Dal primo conflitto mondiale ai poeti dell’alpinismo: oggi su queste montagne i passaporti non contano

​Alessando Beltrami


La vista più bella sulle Tre Cime di Lavaredo è dal foro di una galleria. Tre zanne di roccia gialla e bruna che si staccano sulla gengiva di pietrisco. Non sono cambiate da come le vedeva l’alpino di guardia in trincea. Il grande occhio nella parete del Monte Paterno sembra aperto come un belvedere. Qui si resta muti, per la bellezza e per il magone. Per queste creste passava il confine che separava regno d’Italia e Impero austro-ungarico. Tra 1915 e 1916 le pareti si popolano di cannoni, mitragliatrici, lanciabombe. Il silenzio si alterna al rombo di granate e di shrapnel. Scale di legno e corde sui precipizi, trincee e alloggi scavati nella viva roccia, gli strapiombi verminano di cunicoli. Tonnellate di acciaio ed esplosivo portate in quota a forza di braccia e di mulo. Il genio italiano issò un faro sulla vetta della Cima Grande, a 3mila metri, per illuminare le linee nemiche. Lo servivano 500 metri di cavo elettrico. Intanto attorno vette intere venivano sventrate a colpi di dinamite. La Marmolada era una città scavata 40 metri sotto il ghiaccio. Assalti alla baionetta per una cima persa e riconquistata senza fine. «C’è un corpo in poltiglia / con crespe di faccia, affiorante / sul lezzo dell’aria sbranata. / Frode la terra. / Forsennato non piango: / affar di chi può, e del fango». (Clemente Rebora, Voce di vedetta morta). Ma più che il fuoco poterono il freddo e le valanghe.
La geografia dolomitica della Grande Guerra la canta Bombardano Cortina. «Subito fora dovete andar / E proseguendo poi! ... Oilà / Per valle Costeana! ... Oilà / Giunti sulla Tofana / Su quella vetta, la baionetta / La baionetta, scintillerà [...] / Non mancherà poi tanto! ... Oilà / che anche il Lagazuoi! ... Oilà / conquisteremo noi / quando l’artiglieria / Sasso di Stria, / Sasso di Stria battuto avrà». Il fronte arrivava qui dalla Carnia per il Cadorino, Cima Undici, il Monte Popera e quindi il Cristallo e la Croda da Lago per correre poi verso la Marmolada – dove si consuma la battaglia di Col di Tenda (ribattezzato Col di Sangue), a cui prende parte un giovanissimo Curzio Malaparte – e proseguire verso Trento costeggiando la Val di Fassa. Giunto a Fiemme abbandonava le Dolomiti per il porfido del Lagorai, quindi l’Ortigara  e il Pasubio. Passato l’Adige risaliva verso le nevi dell’Adamello e dell’Ortles. Durò finché la disfatta di Caporetto non spense la Guerra Bianca e verticale.
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