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Il Mediterraneo nel Medioevo, il mare in una rete

Frutto dell’Italia comunale, le Repubbliche Marinare costruirono un vero e proprio impero commerciale

​Franco Cardini
I centri urbani del mondo euromediterraneo sono stati un importante “laboratorio sociale” fin dall’antichità. Tuttavia, nell’Europa del pieno medioevo, e in particolare nell’Italia centro-settentrionale, questa generica e costante tendenza si tradusse in forme originali. L’originale dinamica di quest’esperienza prese il suo avvio nel corso del X secolo, allorché il mondo euromediterraneo occidentale uscì da una lunga crisi climatica, demografica e sociale. È stato anzi notato come l’insicurezza di quel secolo – attraversato dalle incursioni vichinghe, ungare e saracene – fosse uno dei fattori della rinascita dei centri urbani dopo una lunga depressione, datante almeno dal V secolo. Le esigenze relative all’organizzazione della sicurezza condussero a ripopolare e a fortificare i centri urbani, alcuni dei quali erano stati a lungo abbandonati, o quasi: e i vescovi, che nelle città tradizionalmente avevano il centro della loro diocesi, furono i primi protagonisti di questa rinascita. Attorno a loro si coagulò un’aristocrazia di boni homines provvisti di proprietà mobiliari e immobiliari, di esperienza, di capacità anche militari e difensive, che collaborando con il prelato cittadino configurarono in forme che variano da città a città l’emergere di un’attività comunitaria di governo che certo non coinvolgeva tutti gli abitanti in quanto decisionalmente corresponsabili, ma che li riguardava tutti come oggetto delle scelte dell’oligarchia più potente.
Nella storia d’Italia, si parla quindi di un “periodo comunale” grosso modo compreso fra XI e XIV secolo, ma si trascura che accanto a esso continuarono ad avere un grande peso le istituzioni feudali, mentre in aree come la Romagna o il Veneto si affermarono abbastanza presto (metà del Duecento) le “signorie”. La continuità della vita cittadina, rispetto all’antichità romana e all’Alto medioevo, e il rapporto stretto e non soltanto antagonistico con il territorio circostante sono i due elementi caratterizzanti del movimento comunale italico rispetto a quello europeo. È proprio nel X secolo che le premesse della vita comunale nelle città italiane prendono forma. In quei centri di continuo sottoposti a pressione e a pericoli, si andò organizzando una sorta di vita sociale d’emergenza attorno all’unica magistratura che avesse ancora un potere spirituale (ma anche temporale) e un credito effettivo: quella vescovile. Attorno al vescovo, si andarono ordinando i membri di un ancor embrionale ceto dirigente cittadino costituito, secondo i luoghi, da rappresentanti minori dei ceti feudali (i milites), da una “proto-borghesia” di cambiavalute, di mercanti, di artigiani, di armatori nelle città marinare, di professionisti di arti “liberali” come la medicina o il notariato. Furono questi i collegi di boni homines che circondavano il vescovo e lo coadiuvavano nelle funzioni di un governo temporale che in certi casi (quando il vescovo era, per concessione feudale, anche il signore temporale della città) gli spettavano, in altri si limitavano a riempire un vuoto decisionale che non poteva sussistere.
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