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Il Natale tradito per trenta denari

Già quasi un secolo fa Chesterton segnalava la deriva impressa dalla mercificazione alla festa più amata

​G.K. Chesterton


È una caratteristica dei nostri tempi quella di creare aspettative grandiose sul Natale, trasformandolo in un gigantesco spot pubblicitario. La maggior parte dei giornalisti inizia a scrivere i primi articoli sulla stagione natalizia alla fine dell’estate e si prepara a lanciarli già nel cuore dell’autunno. Iniziano a pensare all’agrifoglio e al vischio mentre fioriscono ancora le ultime rose dell’estate e immaginano che fiocchi la neve nella foresta quando a cadere sono solo le foglie. Singolare caratteristica della modernità, collegata in parte a quello spirito profetico delle utopie moderne che ha portato alcuni a chiamarsi futuristi, nell’ipotesi pittoresca che sia possibile affezionarsi al futuro. È connessa a quel romanticismo espresso un tempo con la frase “arriveranno tempi migliori”; seguita da quelli che dicono “non ci metteremo molto”, che i critici più sardonici denuncerebbero come una promessa non mantenuta. Almeno, nel campo di una società perfetta del futuro, si può dire che in molti attendono tempi migliori, anche se sarebbe difficile sostenere, in questo momento, che non ci metteremo molto. Sono coloro tuttora convinti che l’utopia si realizzerà, così come arriverà il Natale, specialmente quando lo declamano (con una certa amarezza) nel mese di maggio. Ma, per il mondo della pubblicità, il Natale sta arrivando quando è ancora di là da venire. Non si può mai dire, con soddisfazione completa e piena, che è giunto finalmente il giorno di Natale.
La moda futurista dei nostri giorni ci porta a cercare la felicità nel domani piuttosto che nel presente. Quindi, mentre aumenta incessantemente il clamore nell’approssimarsi delle feste natalizie, non altrettanto clamore suscita la festa in sé. Gli uomini d’oggi pensano che quando la festa è arrivata sia già finita. Nel mondo commerciale odierno le preparazioni per il Natale sono infinite mentre la festa dura il tempo di un lampo. Il che contrasta nettamente con le usanze antiche, ai tempi in cui la festa era sacra per la gente semplice, quando ci si preparava con austerità all’Avvento e si digiunava alla vigilia. Poi però esplodeva una festa continua e gioiosa che durava dodici giorni e che culminava in quella bizzarria che Shakespeare definì «La dodicesima notte, o quel che volete». Come nei Saturnali, che terminavano in una baraonda dove tutti facevano quello che volevano. Quei dodici giorni dal Natale all’Epifania sono stati resi poeticamente con tanta bellezza da William Shakespeare. Una poesia del tutto assente nelle pubblicazioni giornalistiche dei nostri giorni sulla preparazione del Natale.