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La Carnia, o del Paradiso

L’amore della poetessa per questi luoghi di montagna solitari e resistenti, dove ancora è ben viva la lingua friulana

​Roberta Dapunt

Amo la Carnia da quando la vidi per la prima volta. Conosco i suoi paesi, ho conosciuto persone che li dotavano di vita ogni giorno e so le storie che sono appartenute al loro spazio temporale. La Carnia ne è piena. Così so di Verzegnis e so anche che la miseria ha portato a una decadenza sociale forte fino alle disgrazie, delle quali è rimasto l’odore nell’aria, quasi fosse un castigo. Per me che vado lì in visita, questo odore è un dono, anche per il paese che non sa di averlo ricevuto, la ricchezza data a pochi, di poter raccontare.
Qui racconto Givigliana, lì ho passato tempo e pensiero rivolto alla poesia. Ho riempito alcuni quaderni, ma sono versi che tengo in un cassetto, sento di doverli preservare da miei probabili adornamenti oggi. Givigliana ha i faggeti intorno, sorge in forte pendenza a mezzacosta del monte Crostis. Nel corso del secolo scorso gli abitanti di Gjviano sono emigrati tutti, abbandonando le case alla vista dei resistenti rimasti. Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era la scuola, la latteria sociale, si contavano all’intorno quattrocento abitanti, se ne andarono in pianura o all’estero a cercare lavoro. Oggi il borgo si popola in estate quando tornano le famiglie per godere frescure alte.
C’è un campanile a Givigliana, negli anni che frequentavo il paese era per me il caposaldo che salutava il mio arrivo, un perno alto rivolto al cielo. Poi qualcuno ha pensato di abbellirlo con pitture nell’intento di dargli più valore, credo fermamente che abbia fatto male. Nel frattempo invece hanno aperto un’osteria nella vecchia latteria, si chiama Pura Follia, e qui il contento e la certezza che abbiano fatto molto bene, in barba insomma ai sani di mente. A Givigliana conobbi Pieri Pincan detto Pieri di Vau, era stato muratore, diventato poi animatore culturale, titolo questo che negli anni di mia frequentazione del paese gli dava innanzitutto il merito di un uomo che con tenacia voleva plasmare sensibilità e dignitoso aspetto a chi e a ciò che non c’era più. All’opposto rimaneva e rimane nell’aria e nelle poche case ancora abitate la lingua friulana, la marilenghe, Pieri di Vau ne è stato senza dubbio uno dei cultori più appassionati che io abbia conosciuto. Voleva che le persone si avvicinassero alla lettura, aveva riservato un piano della sua casa ai libri, ne fece una biblioteca aperta agli interessati che sarebbero per mezzo della lettura saliti fin lassù. Mi aiutò ospitandomi, raccontandomi sia di ricchezza e povertà sociale che di Anguane e altre figure magiche.
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