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La matematica del divino

Uno, tre, quattro, sette, otto: ebraismo e cristianesimo hanno costruito su queste cifre architetture teologiche e reali

​L’enumerare, il contare, il mettere in ordine e codificare tale ordine sono tra le attività più antiche e meglio documentate di tutta la storia del genere umano. Il sistema di segni che traduce in linguaggio simbolico l’ordine numerico e la relativa sequenza figura, si può dire in tutte le culture, alla base del rapporto fra conoscenza qualitativa e ordinamento quantitativo del mondo. Ovvio quindi che si sia sviluppata nei millenni, in forme diverse, una “scienza del numero” che troviamo documentata dalla Bibbia e dai testi egizi e sumero-accadici in poi, così come nell’antica scienza indiana di età vedica e in quella cinese. Nel mondo ebraico, non meno che in quello greco-romano, i numeri che hanno maggior importanza simbolica sono l’1, il 3, il 4, il 7: tutti variamente collegati a concetti fondamentali come quelli di divinità, di ordine cosmico, di natura, nonché al numero delle stelle, delle costellazioni, dei pianeti. Molta importanza rivestono anche il 9 (tre volte multiplo di 3), il 10 (che al 9 aggiunge il numero dell’unità divina), il 12 (quattro volte 3 o tre volte 4). Tuttavia, specie nell’architettura sacra, notiamo che un particolare ruolo spetta al numero 8: in quanto somma dei tre numeri-cardine 1, 3 e 4 indicanti l’Unità, la Trinità e la Materia (in quanto quattro sono gli elementi) e adatto pertanto a poter esser assunto come numero complessivo dell’universo e del rapporto fra Dio e il Creato. In questo senso, l’8 ha significato nella meditazione dei Padri della Chiesa anche la perfezione, in quanto somma dei sette giorni della creazione e dell’“ottavo giorno”, quello della Resurrezione, che – annullando gli effetti del peccato originale che aveva compromesso la perfezione dell’opera divina – si pone come giorno perfetto e conclusivo del disegno di Dio.
È ovvio che questa scienza combinatoria, che ha valore anzitutto teologico, si è andata elaborando nel tempo e attraverso molteplici passaggi incrociati di tipo acculturativo.
La “matematica biblica” si fonda non sul 10 (in realtà già base della matematica egizia – i “decani” erano i custodi delle trentasei parti nelle quali l’anno era distinto – ma poi innovazione moderna, assurta a “numero perfetto” in quanto base del sistema metrico decimale imposto dalla Rivoluzione francese), bensì sul 3, sul 4 e sulla somma di tali due numeri, il 7; nonché sulle varie combinazioni. I Romani accettavano l’importanza pratica del 10 in quanto somma delle dita delle due mani: e poiché la mano ha cinque dita esprimevano il numero 5 con la lettera V, che richiama appunto lo schema della mano aperta: è naturale che il 10 fosse simboleggiato dalla X, risultato di due V poste in verticale l’una a dritto, l’altra a rovescio.
 
di Franco Cardini