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La rivoluzione quieta di Kandinskij

In mostra a Rovigo 80 opere del padre dell’astrattismo. Un lungo e complesso percorso creativo

​Paolo Bolpagni

A Rovigo, a Palazzo Roverella, è allestita la mostra “Kandinskij. L’opera / 1900-1940”. È un’amplissima retrospettiva, che espone ottanta ope­re del grande maestro russo, cui si aggiungono dipinti di suoi “compagni di strada” come Gabriele Münter, Paul Klee, Arnold Schönberg, Alexej von Jawlensky, Marianne von Werefkin, e inoltre libri in edizione originale, documenti, fotografie, rari filmati d’epoca, cimeli e oggetti d’arte popolare.
Vasilij Kandinskij (1866-1944) è un personaggio singolare, protagonista di una delle più radicali rivoluzioni creative del Ventesimo secolo, ma al contempo uomo riflessivo e quasi borghese. In effetti, non si pensa abbastanza spesso alla sua scarsa precocità e gradualissima evoluzione e alla provenienza da un ambiente sociale agiato, quello dell’alta borghesia mercantile russa, che gli diede una forma mentis e una serie di cognizioni a largo raggio che difettavano alla maggior parte degli artisti a lui coevi. Kandinskij si laureò in giurisprudenza, lavorò in università, intraprese una carriera che si profilava brillante. Finché, già sposato, all’età di trent’anni, che allora era considerata quel­la di un uomo ormai maturo e con un proprio posto consolidato nella società, prese la decisione esistenziale coraggiosissima di lasciare la professione, l’incarico accademico e addirittura il suo Paese per dedicarsi alla pittura. Ripartendo quasi da capo. L’intelligenza e l’intuito lo condussero non a Parigi, bensì a Monaco di Baviera, una città che, tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento, viveva la stagione forse più straordinaria e propulsiva che abbia mai conosciuto.
Kandinskij compì la rivoluzione forse più determinante del­l’arte del Ventesimo secolo, ovvero la rinuncia alla mimesi e l’approdo (o il ritorno) all’astrattismo, non sull’onda di proclami incendiari e di manifesti avanguardistici, né di un entusiasmo giovanile, ma a seguito di un itinerario di maturazione progressiva che ha la scaturigine più autentica nelle regioni dell’anima. La nostra lingua è un po’ difettosa nell’esprimere il concetto, perché il termine tedesco Geist – e Über das Geistige in der Kunst (Sullo spirituale nel­l’arte) è il titolo del celebre saggio di Kandinskij pubblicato alla fine del 1911 a Monaco – denota molto meglio del suo corrispettivo italiano il significato cui alludo, che afferisce all’Idealismo ben più che alla metafisica e alla religiosità in senso stretto. E per l’artista è una conquista che giunge attorno ai quarantacinque anni d’età.
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