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La vera Odessa è altrove

Da Napoli alla città sul Mar Nero per portare aiuti nei giorni di guerra

​Erri De Luca

All’inizio della guerra in Ucraina mi sono procurato un furgone e con un amico ho portato rifornimenti a orfanotrofi e luoghi che ospitano profughi interni. Sono stato a Odessa, città sul Mar Nero che in quei giorni era grigio come il cielo al di sopra.
Odessa fa parte della mia geografia sentimentale. Per un caso della storia fu progettata nel 1794 da un napoletano di origine spagnola.
Sulle sue sponde in una nave all’ancora fu scritta la musica di ’O sole mio.
Queste però sono solo coincidenze. Odessa mi ha contagiato e affascinato grazie a Isaac Babel, scrittore ucraino in lingua russa. I suoi Racconti di Odessa, frenetica città meridionale, mi hanno istigato a imparare a leggere la lingua di Babel.
Odessa mi ha fatto acquistare la prima grammatica russa e il vocabolario. Con questi mezzi di fortuna e con il testo a fronte mi sono infilato nelle righe e nei vicoli della Moldavanka, quartiere nella zona del vecchio porto, che fu l’insediamento ebraico della città e della sua gente fuorilegge.
Proseguendo le coincidenze con Napoli, il sottosuolo  di Odessa è un labirinto di cavità, cunicoli, gallerie adatte ai contrabbandieri di ogni tempo e ai partigiani durante l’occupazione nazista. In questa guerra, come è stato per Napoli, il sottosuolo è servito da rifugio antiaereo.
Prima dell’invasione non desideravo visitare Odessa. La città che ho amato e conosciuto da lettore non l’avrei trovata. Preferivo tenermela descritta, come altre città letterarie, quella delle Notti bianche di Dostoevskij, la Dublino di Joyce, la Londra di Dickens.
La letteratura imprime su di me più della geografia.
La guerra invece mi ha portato a Odessa col furgone. L’ho girata. Sono giunto ai piedi della scalinata Potëmkin, transennata. La scena immaginata dal regista Sergej Eizenštejn, la carrozzina che precipita lungo la gradinata, è uno degli incubi riusciti e rimasti nella storia del cinema. Il suo bianco e nero è indispensabile e insuperabile a condensare la catastrofe.
Sono sceso al mare per una delle molte calate. Ho messo i piedi nel Mar Nero. Con le palme delle mani ho raccolto e avvicinato al naso la sua acqua. Ho annusato il salmastro guasto che mi rispedisce all’infanzia napoletana.
I porti fermentano di nafte, di cordami, di pescato in decomposizione, di alghe prosciugate. Il miscuglio d’insieme è incenso per le mie narici, mi fa chiudere gli occhi. Ero su un molo di Odessa e a fianco avevo il molo Beverello.
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