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Napoli angioina capitale del gotico

Durante il regno di Roberto il Saggio, sotto il Vesuvio arrivano Cavallini, Giotto e Simone Martini

​All’alba del XIV secolo Napoli è una città pienamente aggiornata sulle novità artistiche italiane ed europee, tanto da proporsi come uno dei centri più aperti e avanzati dell’intero scenario mediterraneo. Gli Angiò promuovono un processo di arricchimento culturale e artistico che culmina con il regno di Roberto il Saggio (1309-1343), conferendo alla città l’indiscussa egemonia su tutto il Meridione. Tra i primi fattori che favoriscono l’aggiornamento della cultura artistica napoletana va ricordata l’irradiazione verso sud delle novità elaborate nel cantiere della basilica di San Francesco ad Assisi nella seconda metà del Duecento. Basterà citare gli affreschi eseguiti da Montano d’Arezzo nella cappella fondata nel duomo di Napoli dal cardinale Filippo Capece Minutolo, arcivescovo della città dal 1288. Formatosi nei primi anni ottanta proprio in San Francesco, dove guarda soprattutto alle opere di Cimabue, Montano torna probabilmente più volte ad Assisi, come è legittimo dedurre dall’avvicinamento ai modi giotteschi negli affreschi realizzati una quindicina d’anni dopo nella basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli.
Dal 1308 il legame della città angioina con le tendenze artistiche più avanzate del tempo si fa particolarmente stretto per l’arrivo di Pietro Cavallini, il più importante pittore romano, tanto apprezzato a corte da ricevere una pensione annua e una casa. Un chiaro esempio della sua attività napoletana è il ciclo di affreschi con storie della Maddalena e dei santi Andrea e Giovanni Evangelista, eseguito nel 1308-1309 nella cappella Brancaccio in San Domenico Maggiore su commissione del cardinale Landolfo, morto nel 1312 ad Avignone. A Cavallini sono stati anche attribuiti gli affreschi eseguiti tra il 1317 e il 1320 in Santa Maria Donnaregina: che siano realmente di sua mano oggi viene generalmente negato, ma i tratti riconducibili al suo stile sono indiscutibili, il che attesta la formazione a Napoli di una scuola di impronta cavalliniana. Il principale seguace del maestro romano è quel Lello, forse giunto in città da Orvieto o forse dalla stessa Roma, mosaicista oltre che pittore, a cui sono attribuite diverse opere napoletane, tra cui un affresco con l’Albero di Jesse nella cappella degli Illustrissimi, in duomo, commissionato dall’arcivescovo Umberto d’Ormont tra il 1314 e il 1320, e un affresco in Santa Chiara raffigurante il Redentore in trono affiancato dalla Madonna e da santi, eseguito dopo un probabile periodo di attività in area laziale, nella seconda metà degli anni venti. Santa Chiara è il più importante complesso monastico francescano della Napoli angioina.

di Saverio Hernandez