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Oman, l'araba fenice

Dopo che ha aperto il suo cuore desertico, il sultanato è diventato un’oasi di cultura e di bellezza

​Si lasciano all’alba le spiagge di Salalah, rampante centro turistico del Dhofar, nel sud ovest dell’Oman, ai confini con lo Yemen. Si punta verso nord su un 4x4, tenendo d’occhio il gps e regolando l’aria condizionata. A bordo, cassoni frigorifero con scorte d’acqua e Coca-Cola in grado di estinguere ogni sete. In caso di imprevisti, il telefono satellitare garantisce i soccorsi. Poi, oltre i laghi salati, compare un mare di rosse dune, alte anche più di trecento metri…
A sir Wilfred Thesiger verrebbero i brividi, anche se fuori del finestrino ci sono 45 gradi all’ombra e sul cofano potresti cuocere due uova. L’esploratore inglese, che stava ai deserti come Reinhold Messner sta alle montagne, nel 1946 era rimasto tre giorni nel Quarto Vuoto, il deserto di dune più esteso del mondo, senz’acqua né cibo né riparo dal sole, ad aspettare che gli amici beduini lo soccorressero. «Coraggioso, scomodo e seducente», l’ex studente di Oxford ed ex pugile era pieno di contraddizioni: sognava che le ultime zone bianche sugli atlanti restassero vergini, ma faceva di tutto per conoscerle, descriverle, cartografarle. Così, cacciati i leoni in Sudan e combattuto contro Rommel, a guerra finita Thesiger s’era dato un obiettivo: attraversare il Rub’ al-Khali, “il Quarto Vuoto” appunto. A cavallo fra Oman, Yemen ed Emirati Arabi, più esteso della Francia, era il più ostile e inaccessibile dei deserti, per le condizioni ambientali come per quelle politiche. Tutto l’Oman allora era impenetrabile. Dalla costa dove viveva, il sultano Said bin Taimur lo aveva isolato dal mondo, vietando la radio e i libri, il calcio e gli occhiali da sole. In pubblico non si poteva fumare e fermarsi a parlare più di quindici minuti. La mortalità infantile era del 75% e in tutto il Paese c’erano solo dieci chilometri di strade asfaltate e tre scuole elementari. Peggio ancora era sui monti, dove gli imam blindavano l’accesso al lunare massiccio dell’Hajar, da mille anni celato agli occhi del mondo, nel segreto di valli nascoste fra aspre pareti calcaree.
«Di tutte le zone abitate dell’Oriente l’interno dell’Oman era rimasto il meno conosciuto, meno ancora del Tibet», scriveva Thesiger. Ma proprio per questo il “deserto dei deserti” lo attraeva tanto. Ascetico come i beduini che lo accompagnavano, voleva provare con loro la fame e la sete, il caldo e il pericolo, certo che solo la sofferenza portasse alla libertà. Nel deserto Thesiger ritrovava «una purezza estranea al mondo degli umani». E il suo cruccio era l’inevitabile «profanazione materiale» che prima o poi l’avrebbe invaso.

di Agnese Fior