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Rocce e ghiaccio le dimore del sacro

Mitologia, antropologia, religioni: la montagna è la grande sede del mistero

​Il fatto che nell’ebraismo, e quindi nel cristianesimo, esistano delle “montagne sacre” (il Gebel Musa nella penisola del Sinai, il Monte Moriah, il Calvario stesso) non significa che, in queste religioni, le montagne siano sacre in quanto tali. Eppure, esse ci pongono sulla strada della percezione di quel quid di sacralità di cui hanno spesso parlato esploratori, scalatori, alpinisti: l’ascesa fisica del monte, con la sua fatica e magari la sua paura, come momento propiziatorio all’ascesi interiore – ne parla con profondità il Petrarca nella sua pagina sull’ascensione al provenzale Mont Ventoux –, che rende in qualche modo “più prossimi a Dio”. Ne hanno parlato anche Voltaire, ascendendo il Grütli in Svizzera, e Alphonse Daudet, descrivendo sia pur con ironia l’alba brumosa sulla Jungfrau. In montagna è facile provare quel terrore dinanzi al sacro (vere terribilis est locus iste) che gli antichi ben conoscevano e che Goethe liricamente spiritualizza nel suo Über allen Gipfeln.
Petrarca, Voltaire, Daudet, Goethe: ci siamo serviti di esempi moderni, occidentali, e, per giunta, tutti e quattro – sia pur in modo diverso – cristiani. Ma della montagna sacra, o meglio della sacralità della montagna – tanto per attingere a un Occidente “altro” – hanno parlato anche occidentali non cristiani, ma nemmeno “laici” (come oggi impropriamente si ama dire), vale a dire appartenenti a una cultura che potrebbe essere qualificata (ancora una volta impropriamente) come “neopagana”: personaggi citare i quali è ritenuto non politically correct, quali Julius Evola, Heinrich Harrer e magari perfino Giuseppe Tucci. È proprio quest’ultimo, forse “scandaloso” argomento, a introdurci al nostro tema. Se al di là del pensiero cristiano sono dei “neopagani” ad avviarci al tema della sacralità della montagna, ciò dipende anche dal fatto che siamo in presenza di un tema sacro di carattere universale.
Sarebbe a questo punto facile e comodo ripercorrere un’arcinota – e, in quanto ben conosciuta da tutti, perfino banale – fenomenologia del sacro che, come “altro-da-noi” (Ganz Andere, l’ha definito Rudolf Otto), è strettamente connesso al Mistero e alla sua “terribilità”. In realtà, stiamo qui toccando una delle radici di quella che Claude Lévi-Strauss indica come “struttura antropologica” dell’essere umano in quanto tale, che ci rende attoniti e ammirati, perfino impauriti, dinanzi alle manifestazioni del Ganz Andere o di quello che noi riteniamo la sua epifania: il sole, il cielo stellato, il fulmine, il tuono, la potenza dell’acqua e del fuoco, l’altezza, la profondità, la luce abbagliante, il buio profondo, il rombo della cascata e della valanga, il silenzio degli abissi. Tali sono le fibre delle quali è costituita la stoffa dei miti: e la montagna, con le sue fondamentali varianti dell’acqua e del fuoco (il ghiacciaio e il vulcano) e con il suo frequentissimo annesso, la grotta.

di Franco Cardini