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San Biagio, da 500 anni simbolo del Rinascimento

Montepulciano festeggia il Tempio di Antonio da Sangallo ripercorrendone la storia lunga e complessa

​Antonio Paolucci
Per chi da Firenze percorre l’autostrada che porta a Roma o per chi da Roma viaggia verso Firenze, ci sono due soste che considero irrinunciabili; due soste da dedicare a due edifici sacri famosi, di quelli che figurano in ogni manuale di storia dell’architettura. Una di queste soste è alla chiesa detta “del Calcinaio” presso Cortona, capolavoro di Francesco di Giorgio Martini. Sopra c’è la città arroccata alla montagna come un nido di rondini, sotto la distesa della Chiana e, accanto al borgo murato, a dominare un mare di vigne e di ulivi, c’è la chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie, incastro di nitidi volumi, come un edificio uscito dalla Città ideale, la tavola che sta nella Galleria Nazionale di Urbino.
L’altra sosta necessaria è a Montepulciano, la città che dista pochi chilometri da Cortona e che quasi la fronteggia. Qui, anche in questo caso “extra moenia” a dialogare con il mirabile paesaggio toscano, sorge il Tempio di San Biagio, progettato da Antonio da Sangallo. È a pianta centrale, costruito in biondo travertino color del sole proveniente dalle vicine cave di Sant’Albino.
Era la primavera del 1518, cinquecento anni fa, quando a seguito di eventi ritenuti miracolosi la comunità di Montepulciano decise l’edificazione del Tempio e fu posta la prima pietra. Nel 1518 corrono nel cielo d’Italia giorni felici. È questo il tempo dell’aureo pontificato di Leone X Medici, quando il futuro si presentava sereno, carico di bellezza e di gloria, come raccontava Raffaello negli affreschi delle Stanze Vaticane, nella grande Loggia dei Palazzi Apostolici e nella serie degli arazzi destinati alla Cappella Sistina.
In realtà presagi infausti, anche se dai più poco avvertiti, si addensavano sul futuro d’Italia e d’Europa. Nel 1518 Martin Lutero aveva già affisso le sue tesi, preludio alla rottura dell’unità spirituale dell’Occidente. Nel 1518, a Firenze come a Milano come a Bologna, scricchiolavano e andavano dissolvendosi le autonomie cittadine. Tutto questo però non tocca il melodioso nitore dell’edificio concepito da Antonio da Sangallo, un edificio che sembra riflettere gli ideali più ottimistici dell’età che i manuali chiamano del Rinascimento.
Di fronte a un edificio che sembra ruotare su se stesso offrendo su ogni lato nitide partiture, viene in mente l’eleganza circolare del Bramante nel San Pietro in Montorio e, prima ancora, affiorano nella memoria gli edifici (la Collegiata e il Palazzo) che Bernardo Rossellino aveva innalzato a Pienza per Pio II Piccolomini. È singolare, ed è la ragione non ultima del suo fascino, la collocazione di San Biagio nel paesaggio. L’edificio era, doveva essere, nella volontà dei committenti e nelle intenzioni del progettista, oltremisura monumentale, quasi fuori scala se rapportato alle chiese e ai palazzi cittadini, di dimensioni imponenti nei suoi quattro corpi contrapposti, nella cupola e nei due campanili previsti, anche se uno solo è stato realizzato. Eppure si ha l’impressione che l’edificio sia una emergenza naturale, come un monte, come un promontorio, come un’isola. Che stia lì da sempre, accarezzato e modulato dalla luce dei giorni e delle stagioni. Non potremmo immaginare la collina sulla quale sorge Montepulciano senza San Biagio. Anche perché il colore del biondo travertino è fraterno ai colori della città e del paesaggio.