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Servire la terra

L’Eden non è l’origine ma il progetto per l’uomo, una cosa sola con il Creato

​Il rapporto tra uomo e natura è cambiato, in questi ultimi decenni, quanto e più del rapporto tra uomo e uomo. La sensibilità ecologica ha obbligato la teologia e l’esegesi a scavare di più. Ha chiamato tutti a occuparsi del degrado del creato come di un problema non accessorio, ma uno dei più gravi e urgenti, questione di vita o di morte. Ci è richiesta una metànoia; niente si può fare se non partendo da qui: da una conversione.
Il tempo delle origini
Il primo racconto biblico della creazione è incentrato sull’atto creatore assoluto di Dio e narra il suo amore per la varietà, la diversità e la ricchezza della vita. Un Dio attento a ciascuna erba, a ciascun seme, a ciascun albero (Gen 1,29) – che ama la biodiversità, si direbbe oggi –, innamorato dei dettagli, con i quali compone la tela multicolore del creato. Il contrario della omologazione e sterilizzazione dei semi operate dalle multinazionali. Che impoveriscono il pianeta.
Il secondo racconto narra l’ingresso dell’uomo nella storia, che è una storia di relazioni: inscindibilmente con Dio e con le creature. L’uomo è posto in un giardino, in una relazione che è speciale: ci sono fiori e gemme, pesciolini e pulcini, e l’uomo non vi ha lavorato per niente. Una divina anticipazione in attesa della venuta degli umani. Un dono.
«Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gen 2,8).
La Bibbia racconta di un Dio giardiniere, che ha un rapporto diretto con la terra (adamà), la madre terra, per lavorarla, farla morbida nutrice di semi. L’azione creatrice di Dio è piantare alberi, fiori, giardini. E legami: l’uomo è dentro, in relazione, coinquilino.
Terra-casa
Diciamo che la terra è fragile e che perciò bisogna prendersene cura. Ma non è così. La terra non è un animaletto fragile: è forte e fertile. Non ha bisogno di noi per mantenere i suoi cicli vitali.
La vita si è evoluta per milioni di anni prima che l’uomo facesse la sua comparsa e potrebbe andare avanti per altrettanto tempo se la specie umana sparisse. Così scriveva Leopardi, fantasticando sulla terra dopo l’estinzione umana: «Ma ora che essi sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione, non si vede che si rasciughi. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare» (Dialogo di un folletto e di uno gnomo, in Operette morali).
Non è la terra in sé a essere bisognosa di cure, ma la terra considerata come ambiente vitale per l’uomo, come casa da abitare. Lasciata a se stessa, la terra diventa un ambiente inospitale.
La natura non ha bisogno di noi, ma noi abbiamo bisogno di lei. L’uomo deve custodire e coltivare la terra per trasformarla in casa: luogo dove trovare nutrimento, sicurezza, pace, bellezza; dove far fiorire l’umano.

di Ermes Ronchi e Marisa Marcolini