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Sul monte del Signore

Moriah, Sinai-Oreb, Nebo: tre luoghi biblici dove l’uomo ha incontrato Dio

​Il paesaggio da cui provengo è quello collinare del Monferrato e delle Langhe, colline e colline senza fine – le cui cime chiamiamo “brich” –, colline quasi sempre coperte di vigne e, solo se rivolte a nord, boschive. Ma anche in una terra collinare salire il “brich” era per me qualcosa di straordinario: il paesaggio si apriva e si potevano vedere le Alpi e distinguere bene la cima del Monviso – il monte visto ovunque –, il massiccio del Monte Bianco e il Monte Rosa; si poteva volgere lo sguardo fin dove giungeva il Piemonte, la terra “ai piedi dei monti”. Il mare ligure non si vedeva, così, quando si riusciva ad andare al mare, l’emozione era grande davanti a quella distesa azzurra che incuteva soprattutto curiosità: «cosa ci sarà oltre il mare?», ci chiedevamo. In montagna si andava qualche volta, raramente, ma giunto nelle valli avevo l’impressione di trovarmi di fronte ad altezze irraggiungibili, che mi sovrastavano fino a incutermi timore.
Confesso che non ho mai scalato montagne; ho certamente amato fare passeggiate, ma se salgo su un monte le vertigini mi colgono e, dopo una salita per raccogliere stelle alpine o fiori di artemisia, la discesa mi pare paurosa. Sì, la montagna mi incute timore, mi affascina e nello stesso tempo mi intimorisce. Se il sacro è tremendum et fascinosum, la montagna è la realtà più sacra che conosco. Per questo, credo, da sempre gli esseri umani hanno visto le montagne come dimore degli dèi, come simbolo del mistero trascendente, come luogo “altro” rispetto al loro abitare la terra, altare naturale che si leva verso Dio. In tutte le culture il monte ha una valenza simbolica, stabile e incrollabile, e per questo è abitato da Dio, è alto e irraggiungibile come il Dio che dimora nei cieli, sovente coperto da nubi che lo nascondono, come Dio è nascosto (cfr. Is 45,15). Pochi lo sanno, ma il nostro Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che si rivelerà a Mosè con il nome ineffabile di Jhwh, ha come primi nomi ’El ’Eljon, l’Altissimo, e anche ’El Shaddaj, il Montanaro, colui che abita le cime dei monti, titoli purtroppo spesso tradotti con Onnipotente o Potente.
Nella Bibbia molti sono i monti – sovente poco più che alture o colline – nominati, descritti, ricordati come luoghi significativi “santi”, cioè altri. Certo, molti monti sono le alture sacre delle credenze dei cananei che i profeti desacralizzano e combattono perché luoghi di idolatria. Alcuni monti invece sono testimonianze dell’azione di Dio nella storia di Israele, memoriali di eventi nei quali il Signore Dio si è rivelato, ha alzato il velo su di sé facendosi conoscere al suo popolo. Impossibile in questo contesto ricordarli tutti: dal Monte Ararat, sul quale si ferma l’arca di Noè dopo il diluvio (cfr. Gen 8,4); al Monte Gelboe (cfr. 1Sam 31), dove morì il primo unto, il Messia; al Monte Tabor, già menzionato nei salmi (cfr. Sal 89,13), sul quale Gesù fu trasfigurato (cfr. Mc 9,2 e par.); al Monte degli Ulivi, dove Gesù fu acclamato Messia, figlio di David (cfr. Mc 11,9-10 e par.) e da dove salì al cielo (cfr. Lc 24,50-51; At 1,9-11). Ho operato dunque una scelta, limitandomi a riflettere solo su tre montagne: il Monte Moriah, il Sinai-Oreb e infine, con la mia esperienza di salita e discesa, il Monte Nebo.

di Enzo Bianchi