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Ulma una famiglia tra calvario e grazia

In Polonia alla scoperta di Józef e Wiktoria e dei loro sette bambini, martirizzati dai nazisti per aver nascosto otto ebrei nella loro casa

​Giovanni Gazzaneo

Sono bellissimi quei sei bambini, bellissimi e felici. Un settimo c’è ma non si vede. È ancora nel grembo della mamma. La foto della famiglia Ulma, nella pagina accanto, risale all’anno 1944: papà Józef ha 44 anni, mamma Wiktoria 32 ed è in felice attesa, Stanislawa 8, Barbara 7, Wladyslaw 6, Franciszek 4, Antoni 3 e Maria 2. Vivevano a Markowa, un piccolo villaggio polacco nel verde smeraldo della Precarpazia. Una vita nel segno della fatica quotidiana del lavoro dei campi e della gioia quotidiana dell’amore.
La Seconda guerra mondiale devasta l’Europa. I nazisti occupano dal 1939 la Polonia e ne fanno un triste e mortale Governatorato, con l’obiettivo di attuare la sistematica distruzione del popolo ebraico, ma anche la persecuzione del popolo polacco. Per servire il Reich milioni di polacchi vengono ridotti in schiavitù, e alla fine della guerra saranno quasi sei milioni i morti nel Paese, di cui circa la metà ebrei polacchi. Le tenebre del male sembrano insinuarsi in ogni dove, nei totalitarismi rossi e neri, nei genocidi, nelle distruzioni dei bombardamenti degli Alleati sulle città italiane e tedesche, e nei massacri infami dei civili…
Eppure tante luci continuano a brillare, magari esili ma così vere. Una di queste luci, alla periferia del gran mondo, è quella degli Ulma. Una luce che resta, mentre le tenebre sono sempre destinate a dissolversi. Józef e Wiktoria hanno messo a rischio la loro vita e quella dei figli per salvare la vita a chi era perseguitato. Sono annoverati tra i Giusti delle Nazioni. Persone che salvano altre persone. Ma in nome di cosa, meglio, in nome di Chi? Ecco, se avessimo chiesto agli Ulma in nome di cosa forse non avrebbero saputo rispondere. Ma il nome di Chi era noto a tutta la famiglia, a grandi e piccini: era il nome che salutavano al risveglio, che pregavano a tavola e la sera prima di dormire, era il nome del loro compagno invisibile eppure sempre presente, l’orizzonte della loro vita. Gli Ulma hanno aiutato gli ebrei - non solo quelli accolti in casa, ma anche coloro che si erano nascosti nei boschi che circondavano Markowa - perché fratelli, sorelle, figli, padri e madri. Nel nome di Cristo hanno rifiutato la logica demoniaca di chi divideva il mondo in ariani e sub-umani, hanno scelto la via del Vangelo, che è la via del farsi prossimo, del non voltare lo sguardo altrove, la via del samaritano misericordioso che quando passa non va oltre, e si china su colui che ha bisogno, si ferma e se ne prende cura.
Durante la Messa di beatificazione della famiglia Ulma, celebrata a Markowa il 10 settembre scorso, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero vaticano per le Cause dei Santi, ha detto: «A conclusione della parabola del buon samaritano Gesù dice: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37). È noto come Józef e Wiktoria Ulma abbiano dedicato a questo frammento del Vangelo di Luca un’attenzione particolare, sottolineando il titolo in rosso, sulla Bibbia di famiglia, e annotandovi accanto il loro “Sì”. Come ha scritto san Giovanni Paolo II, la parabola del viandante incappato nei briganti racconta la capacità della sofferenza di “sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato del proprio io in favore degli altri uomini”. Tale carità è al centro della nostra odierna celebrazione». Non sappiamo molto di quel che hanno detto o fatto gli Ulma, ma quel “Sì” è sufficiente per dare senso a una vita e portare al martirio. Józef e Wiktoria erano cresciuti in famiglie profondamente religiose, e profondamente religiosa era la loro famiglia. In Polonia sono noti come i “samaritani di Markowa”. Ha detto il cardinale polacco Konrad Krajewski, elemosiniere di papa Francesco: «La famiglia Ulma ha scelto di proteggere la vita a costo della vita».
Józef era contadino - sperimentava nuove tecniche per i frutteti -, apicoltore, falegname, amava la fotografia e ci ha lasciato immagini bellissime e serene della sua famiglia e della gente di Markowa, faceva parte di associazioni religiose ed era anche bibliotecario. La moglie Wiktoria, sposata il 7 luglio 1935, aveva frequentato l’università popolare di Gac, amava disegnare e recitare. Si dedicava totalmente ai figli, che paragonava a fiori bisognosi di cure e di tempo per crescere. I coniugi Ulma abbracciavano coltura e cultura, amore per il Vangelo, per la vita e per la gente che li circondava. Vivevano in una piccola casa, costruita da Józef negli anni Trenta, che è stata riprodotta idealmente nel museo, inaugurato nel marzo 2016, dedicato a loro e ai Giusti che nella regione della Precarpazia hanno difeso gli ebrei e li hanno nascosti a rischio della vita. Tante le testimonianze, documenti e video che ci raccontano la storia non di singoli eroi, ma di un agire che fiorisce in un vissuto cristiano comunitario. Il paese di Markowa era abitato da centoventisei ebrei, ventuno furono salvati dalla furia nazista.
Così vengono descritti gli Ulma nel documento della Conferenza episcopale polacca letto in tutte le chiese del Paese prima della beatificazione: «La vita dei Venerabili Servi di Dio Józef e Wiktoria consisteva in innumerevoli sacrifici e gesti d’amore quotidiani. Il frutto dell’adozione di questo stile di vita fu la decisione eroica di aiutare gli ebrei condannati allo sterminio. Non si è trattato di una decisione affrettata, ma è il risultato della lettura della Parola di Dio, che ha formato i loro cuori e le loro menti, e quindi il loro atteggiamento [...] Józef e Wiktoria decisero di accogliere otto ebrei, nonostante la minaccia di morte da parte dei tedeschi per chi aiutava a nasconderli. Nella soffitta della loro piccola casa si rifugiarono tre famiglie. Per molti mesi hanno assicurato loro un tetto e il cibo che, in tempo di guerra, è una vera sfida. Il loro atteggiamento di abnegazione ebbe il suo tragico epilogo il 24 marzo 1944. I nazisti irruppero nella loro casa e spararono crudelmente agli ebrei nascosti, e poi davanti agli occhi dei bambini uccisero Józef e Wiktoria. Tragedia che si concluse con l’uccisione dei bambini [...] Il loro atteggiamento eroico è una testimonianza del fatto che l’amore è più forte della morte». Sappiamo chi sono gli ebrei che vennero accolti nella casa degli Ulma: Saul Goldman con i suoi figli maggiorenni Baruch, Mechel, Joachim e Moses, della vicina cittadina di Lancut; le due sorelle (figlie di Chaim Goldman, un parente di Saul) Golda Grünfeld e Lea (Layka) Didner, con la piccola figlia Reszla. È probabile che queste famiglie abbiano chiesto aiuto a Józef e Wiktoria dopo la strage di ebrei avvenuta nel dicembre 1942 a Markowa. Il rabbino capo di Polonia Micheal Schudrich dice, a proposito degli Ulma: «È difficile scrivere dei Giusti tra le Nazioni. Tutte le parole falliscono. Le parole non bastano per descrivere e trasmettere il bene che queste persone irradiano. I Giusti mostrano a tutti noi ciò che Dio si aspettava quando creò l’uomo».
Infine papa Francesco, nel giorno della beatificazione, ha affermato: «All’odio e alla violenza, che caratterizzarono quel tempo, essi opposero l’amore evangelico. Questa famiglia polacca, che rappresentò un raggio di luce nell’oscurità della Seconda guerra mondiale, sia per tutti noi un modello da imitare nello slancio del bene e nel servizio di chi è nel bisogno».