182 periferie
Le periferie italiane: è una buona notizia quella di cui si è fatto generoso fautore il senatore a vita, il grande Renzo Piano. Ha deciso di devolvere il suo stipendio di parlamentare a giovani architetti perché possano studiare soluzioni appropriate ai problemi delle periferie. E ha scelto, tra coloro che avevano partecipato al bando, un gruppo di agguerriti giovani.
Perché le periferie sono un problema? E lo sono dappertutto, dalle banlieue parigine fino alle siedlung (quartieri residenziali) berlinesi, dagli enormi quartieri costruiti in Polonia e Ungheria durante la dominazione di Mosca e nelle immense lande periferiche delle città cinesi, sorte in maniera spietata a imitazione dei quartieri popolari sovietici. La risposta è che nell’idea stessa di periferia c’era il germe del disastro. Le periferie nascono con i sogni utopici degli architetti tra le due guerre mondiali, sono cullati da personaggi di altissima levatura come Le Corbusier e viaggiano alla stessa velocità sia nel mondo capitalista, con gli enormi project (urbanizzazioni) a New York come a Chicago, sia nell’Europa occidentale e orientale.
L’idea è che bisogna creare quartieri operai che rispondano alla funzione dormitorio e un po’ alle due altre funzioni “ricrearsi” e “riprodursi”. Sono quartieri pensati già come marginali, perché legati a una logica di disponibilità della manodopera a spostarsi in centro per lavorare e tornare in periferia per dormire. Sono anche la condanna dei centri storici come luoghi di vita, e invece la trasformazione di questi in luoghi della produzione e del consumo. Per questo a sera i centri storici si svuotano e di giorno le periferie sono deserte.
In questa utopia c’è un errore basilare, quello di una vita urbana concepita a zone e quella di un funzionamento urbano legato a spostamenti di massa con mezzi pubblici e privati. E ovviamente in mezzo c’è la speculazione edilizia. Ma un simile modello crolla negli anni Ottanta, quando la classe operaia comincia a sparire, per poi collassare di nuovo in tempi più vicini per motivi legati alla nuova crisi energetica. In futuro sarà sempre più assurdo dover pagare gli alti costi di inquinamento ed energia degli spostamenti di massa. Cosa si può fare per le periferie? È difficile dirlo: mantenerle significa insistere su un errore paradossale e antico, come se fosse il tentativo di mantenere in vita dei dinosauri. Abbatterle costa a volte più che mantenerle. E allora? Bisogna inventarsi una soluzione di mezzo, almeno per ora, sperando che non se ne costruiscano più e che si inventi un modello più intelligente per le città del futuro.
di Franco La Cecla