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A Rothenfels, dove tutto ebbe inizio

​Negli anni 1927-1928, un’intera ala del castello medievale di Rothenfels, in Germania, viene spogliata dagli apparati decorativi d’epoca barocca per creare spazi ritenuti più appropriati per le nuove sperimentazioni liturgiche che il movimento della gioventù cattolica tedesca – Quickborn – intende attuare per le attività estive dei propri raduni.
Gli autori di questo particolare intervento sono il teologo Romano Guardini, figura carismatica dotata di un’ampiezza di pensiero giunta intatta fino ai nostri giorni, e l’architetto modernista Rudolf Schwarz che, con opere e scritti di grande qualità, si è imposto come un importante punto di riferimento dell’architettura ecclesiale del XX secolo.
I pensieri e le sperimentazioni promossi nel castello di Rothenfels da queste due personalità (unite in un sodalizio che si prolungherà oltre la seconda metà del XX secolo), si configurano fin dall’inizio come modelli per un nuovo rapporto tra liturgia e architettura; idee basilari che accompagneranno le riflessioni e le speranze confluite, più tardi, nelle raccomandazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ne è un esempio la centralità attribuita al sacrificio eucaristico che esige la convergenza dello spazio assembleare verso l’altare, che diventa il «nuovo punto generatore e strutturante nella costruzione e nell’allestimento di una chiesa», sottolinea Johannes van Acken in uno scritto del 1922.
La piccola cappella, ricavata all’interno della rocca dalla trasformazione di quella già esistente, e in particolare la Sala dei Cavalieri a essa contigua, presentano un nuovo spazio luminoso, austero e ordinato con una geometria elementare che regola la presenza dei fedeli e «sottolinea l’importanza degli atteggiamenti che si svolgono, dei luoghi e dei segni che diventano elementi fondamentali dell’azione liturgica».
Questi cambiamenti radicali rispetto all’organizzazione tradizionale degli spazi nelle precedenti tipologie, promuovono nuovi comportamenti grazie ai quali i fedeli diventano essi stessi protagonisti dell’azione liturgica. Appare logico, allora, che si stabilisca una naturale affinità elettiva con i linguaggi espressivi del Movimento Moderno. Il rigore planimetrico, la chiarezza dei tracciati geometrici, la luce come generatrice degli spazi indicano un vocabolario semplice e immediato che allontana per sempre le sovrastrutture dei segni “contorti” del passato.
«Ogni nuova architettura deve manifestarsi chiaramente come creazione del nostro tempo […] e gli straordinari rapporti con la contemporaneità devono necessariamente manifestarsi anche nell’architettura»: sono questi convincimenti che, divulgati, si allontanano da un sapere elitario per incontrare lo spirito proprio di quel tempo.
Si afferma la necessità di una forma di bellezza che connoti gli spazi in modo semplice e spontaneo, in stretto dialogo con le sperimentazioni e le ricerche delle Avanguardie artistiche particolarmente attive in quegli anni.
È in questo clima che le nuove indicazioni liturgiche modificano le tipologie ecclesiali del passato, con spazi e comportamenti capaci di interpretare i valori più profondi dell’incontro assembleare.