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Antonello, le Vergini pensanti

di Elena Pontiggia​

Diceva Friedrich Nietzsche che ogni opera d’arte contiene un grande realismo e una grande irrealtà. Non sappiamo se sia vero per tutte le opere, ma lo è senz’altro per i capolavori di Antonello da Messina. Nei suoi dipinti una luce metafisica convive con un tale accento di realtà da darti l’impressione che i suoi personaggi, la sua Vergine Annunciata, le sue donne, i suoi uomini tu li abbia già incontrati da qualche parte. Accade anche con la Madonna con Bambino, parte centrale del Trittico dei Dottori della Chiesa: un’opera per lungo tempo smembrata e recentemente ricomposta (almeno nelle mostre) che rappresenta Maria fra san Giovanni Evangelista e san Benedetto.
Realismo è forse un’espressione fuorviante. Eppure quel Bambino che stringe il velo della Madre e ci manca poco che lo strappi, tanto lo tiene stretto, ti dà l’impressione di un bambino vero a cui hanno appena detto: «Non aggrapparti al velo della mamma, guarda che lo rompi», ma ha fatto finta di non sentire. Anche il volto della Madonna, regale fin che si vuole e di una bellezza meravigliosa, rivela un suo carattere determinato, tanto da far venire in mente (se la protagonista del dipinto ci permette l’accostamento) quello che donna Prassede pensava di Lucia Mondella: «Non ci voleva molto ad indovinare che quella testolina aveva le sue idee». E quegli angeli, sicuramente principeschi, eppure così giudiziosi, così attenti a non far cadere le rose dalla ghirlanda del diadema? La bellezza assoluta, insomma, si accompagna alla ricerca della verità psicologica, a un’indagine sul carattere delle figure e sulle situazioni concrete in cui si trovano.
Conservata agli Uffizi di Firenze, la Madonna col Bambino e angeli reggicorona (questo il suo titolo ufficiale), è stata al centro di un giallo che si è risolto solo recentemente. Coperta da pesanti ridipinture, per molto tempo non era stata attribuita ad Antonello. Se si cerca nei Classici dell’Arte Rizzoli, quelli intitolati L’opera completa di… (un tempo Bibbia degli appassionati, grazie al prezzo modico e alla completezza delle riproduzioni e dei dati); se cercate, dunque, nell’Opera completa di Antonello da Messina, uscita mezzo secolo fa – un arco di tempo non troppo lungo nell’ambito degli studi – la tavola non c’è. Non c’è nemmeno tra le opere dubbie, attribuite, attribuibili, né tra quelle di bottega o dei seguaci del maestro. Solo negli anni Novanta si è ipotizzato che fosse del grande pittore siciliano, e solo nel 1996 è entrata agli Uffizi.
La tavola, alta circa un metro e dieci e larga appena mezzo metro, rivela pienamente la cultura complessa di Antonello. Il trono intagliato su cui siede la Vergine e la forma a tre lobi dei paraventi in legno sul fondo sono di gusto catalano e dimostrano i rapporti dell’artista con la pittura spagnola. I due angeli sono invece di ascendenza fiamminga e ci ricordano che, come dicono con qualche semplificazione i manuali di storia dell’arte, Antonello è stato il grande divulgatore, per non dire il grande apostolo, dell’arte delle Fiandre in Italia. È stato lui a portare da noi la tecnica della tempera grassa a velature, usata dai fratelli Van Eyck. Di derivazione italiana è invece la concezione spaziale del dipinto, che tende a unificare le parti (l’ombra proiettata dal trono continua nella parte laterale del trittico). Per non parlare della solida volumetria, tutta “mediterranea”, della Madonna.
L’opera è solitamente datata tra il 1470 e il 1475, quindi è stata eseguita quando l’artista aveva quaranta, quarantacinque anni. Antonello, che era nato a Messina nel 1430, era ormai nella piena maturità, calcolando che aveva iniziato a studiare con il celebre Colantonio, a Napoli, a quindici anni. La Madonna degli Uffizi si colloca dunque fra due capolavori assoluti non solo di Antonello, ma dell’intero Quattrocento: è di poco successiva al Ritratto d’ignoto, 1465-1470, del Museo di Cefalù (l’opera che ha dato il titolo al Sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo), ed è all’incirca contemporanea dell’Annunziata, 1475. Antonello sarebbe morto pochi anni dopo, nemmeno cinquantenne. Nel suo testamento aveva chiesto di essere seppellito nel convento di Santa Maria del Gesù della sua Messina, “cum habitu dicti conventi”, cioè con la veste di frate minore di san Francesco.
“Antonello da Messina”, a cura di Giovanni Carlo Federico Villa. Milano, Palazzo Reale. Fino al 2 giugno. Catalogo Skira. Info: palazzorealemilano.it