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E Masaccio creò la donna moderna

Entrate nella cappella Brancacci, dentro la fiorentina chiesa di Santa Maria del Carmine, e capirete quali straordinarie potenzialità espressive e quante cariche di futuro il nudo femminile portasse con sé agli albori dell’età moderna.
Masolino e il giovanissimo Masaccio, in quella impresa uniti in società, in due riquadri ad affresco affrontati dipinsero rispettivamente Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre e la Cacciata dei progenitori dopo il peccato. Siamo intorno alla metà degli anni Venti del Quattrocento. Masolino è un artista colto e raffinato, titolare della cultura artistica che i manuali di storia dell’arte chiamano del “gotico internazionale”. Egli guarda alle novità del Rinascimento (la prospettiva, la verità anatomica e fisionomica, l’armonia e le misure classiche) con curiosità ma anche con riflessivo distacco. L’universo tenero e luminoso, aristocratico ed elitario della tradizione gotica continua ad affascinarlo. La sua Eva è una giovane signora che presenta lo splendore del suo corpo con elegante degnazione. Sa di essere bellissima e lo sa anche il suo compagno ma è, la sua, una nudità innocente, asessuata.
Di fronte c’è l’Eva di Masaccio, nuda anch’essa ma vergognosa di esserlo. I progenitori sono qui rappresentati nel momento in cui l’angelo del Signore li caccia dal Paradiso Terrestre. A differenza di Adamo che non vuole farsi riconoscere e si copre il volto con le mani, Eva non ha ritegno, piange e urla tutta la sua disperazione. Non c’è nessuna bellezza in questa anatomia femminile appesantita e dolente che “entra” faticosamente nella storia e quindi nella consapevolezza della umana condizione. In questo senso possiamo dire che l’Eva di Masaccio è il primo nudo di donna “moderno” nella storia dell’arte occidentale. I progenitori cacciati dal Paradiso, nella loro nudità disperata e indecente (il sesso di Adamo è bene in vista, senza mascheramenti, senza censure), consapevoli di una sensualità che insieme li opprime e li consola, noi li sentiamo fraterni alla nostra condizione di uomini e di donne di oggi.
Dopo l’Eva di Masaccio, il nudo femminile è entrato da protagonista nella storia dell’arte. Pensiamo alla Venere di Botticelli custodita agli Uffizi. Non è mai esistita e mai esisterà una donna così. Quella che vediamo è un simbolo, incarna la bellezza intellettuale, sognata e inattingibile, abita l’universo platonico dei puri archetipi.
Ma ecco, a confronto, i Progenitori di Lucas Cranach datati al 1528 e anch’essi agli Uffizi. La donna, persuasa dal demonio in forma di serpente, ha già colto il frutto dall’Albero del Bene e del Male. La mela che tiene in mano e che offre con insinuante complicità al perplesso compagno, porta i segni dei suoi denti. Il corpo di questa Eva, di una melodiosa eleganza efebica, è tutto una promessa e i suoi occhi lanciano il silenzioso messaggio che ogni uomo ben conosce e al quale è impossibile resistere.
L’elenco attraverso i capolavori dell’arte potrebbe continuare, citando le sontuose donne di Tiziano e di Rubens o la Betsabea di Rembrandt – la malinconica adultera che si conserva al Louvre e che il maestro di Leida firmò e datò al 1645 –, fino ad arrivare alla Maya desnuda di Francisco Goya (1797-1800, Madrid, Prado) e alla Olympia di Manet del 1863 (Parigi, Museo d’Orsay). Olympia non si offre a un uomo, non aspetta un uomo. Essa è un idolo, una enigmatica icona che ci trasmette una specie di fascino ipnotico, di orrore sacro. Il gatto nero che si inarca sul letto come una presenza demoniaca, la serva nera che offre il bouquet di fiori sono, nello splendore della pura pittura, allusioni inquietanti, rappresentano l’angoscia e gli orrori della Modernità, quella di Baudelaire e di Poe.
Lunga e affascinante è la vicenda del nudo femminile nella storia delle figure, almeno in questa nostra parte del mondo. Non si dimentichi però che tutto è cominciato da un affresco veritiero e indecente che Masaccio dipinse, un giorno del 1425, sul muro di una chiesa fiorentina.
 
di Antonio Paolucci