Luoghi dell' Infinito > Il Tiziano di Brescia e i pellegrini di salvezza

Il Tiziano di Brescia e i pellegrini di salvezza

​Il 1519 fu un anno particolare: moriva in Francia Leonardo da Vinci; moriva anche Lorenzo, unico duca d’Urbino della dinastia medicea; Ferdinando Magellano attraversava l’Atlantico e scopriva la baia di Santa Lucia (Rio de Janeiro) in Brasile. La questione luterana (iniziata nel 1517) contribuì al tramonto della Rinascenza e, con essa, ai trionfalismi di un’epoca che volle l’uomo al centro della storia. Si apriva così un contrasto fra gli stilemi, ormai datati, del Rinascimento e le spinte di un “nuovo” che tardava a prendere forma.
In tale contesto Altobello Averoldi, nunzio apostolico presso la Serenissima, commissiona a Tiziano un’opera de pictura per la collegiata dei Santi Nazaro e Celso a Brescia. Tiziano, di fronte alla richiesta del committente, già all’epoca antiquata, di realizzare una pala d’altare a scomparti, supera il problema conferendo ai cinque pannelli una straordinaria unità. Forme, gestualità e colori suscitano un continuo rimando che, convergendo verso la grande scena centrale, crea una spazialità capace di superare la rigidità degli scomparti.
Nel pannello in basso a sinistra, il committente in ginocchio e i due martiri Nazaro e Celso sono avvolti nell’oscurità. L’oscurità si fa ancora più densa nella parte bassa del pannello centrale dove i due soldati, a guardia del sepolcro, sono sorpresi dall’evento inusitato della Risurrezione.
Sfolgora bianchissima, invece, la luce del Risorto sopra il martire Sebastiano, nel pannello in basso a destra. La torsione dei corpi e la plasticità dell’anatomia di Tiziano registrano la lezione di Michelangelo Buonarroti il quale, negli anni precedenti, aveva dipinto gli ignudi della Cappella Sistina e scolpito i Prigioni per la tomba di Giulio II.
Proprio sui corpi in tensione del polittico vibra la luce dorata del mattino di Pasqua che bagna di luce il profilo di una chiesa, probabilmente la stessa collegiata. È questo paesaggio anacronistico a offrire la chiave di lettura di tutta l’opera: la Chiesa vive del sangue dei martiri, sul dolore vinto e redento poggia la sua fede e la sua speranza. Nella parte alta del pannello centrale il Cristo Risorto, infatti, è colto nell’atto di ascendere al Padre coronando così la redenzione piena della umana carne. Nel suo slancio, col gesto della mano sinistra indica la Vergine Madre, mentre con lo sguardo si volge verso Sebastiano che, con san Rocco, è uno dei quattordici santi ausiliatori cari alla pietà popolare. Sullo sfondo, dietro al santo martire trafitto da una freccia, un piccolo angelo conforta san Rocco, patrono dei viandanti e, come san Sebastiano, invocato contro le pestilenze e le epidemie.
Primo fra i pellegrini fu proprio il Cristo che iniziò il suo viaggio terreno con l’Incarnazione e l’annuncio dell’Angelo a Maria. L’arcangelo Gabriele, nel suo abito bianchissimo, regge un cartiglio con le parole dell’annunzio: Ave gratia plena. La Vergine, accogliendo il saluto angelico, si porta la mano al cuore e abbassa lo sguardo verso quell’umanità, rappresentata dai soldati e dall’Averoldi, che giace nell’oscurità del tempo e della storia. Trait d’union fra costoro e il Risorto sono appunto i martiri, in particolare Nazaro e Celso, soldati anch’essi, ma instancabili annunziatori della fede. Il martire in primo piano è identificato solitamente con Nazaro, maestro del giovane Celso ritratto di profilo proprio dietro di lui. È Nazaro che guardando al committente, segno dei fedeli di ogni tempo, volge le mani in preghiera verso il Cristo Risorto. A lui il compito di chiudere il senso dell’opera: per aspera ad astra. Si giunge alla luce cangiante del Cielo attraverso le oscurità del Presente, orizzonte in cui la Chiesa vive, con la sua luce dorata, quale testimone del già e del non ancora.