Luoghi dell' Infinito > Il palcoscenico, la montagna e il silenzio che chiama

Il palcoscenico, la montagna e il silenzio che chiama

Si apre con questo testo la rubrica a firma del cantore e scrittore emiliano.
 
Di colpo sono precipitato in un’altra stagione della mia vita. Due uomini, miei coetanei, stavano discutendo, bevevano il caffé, mi voltavano le spalle ma non ho avuto dubbi. Li ho abbracciati e apostrofati: «Due pensionati in splendida forma! Di cosa state parlando? di vacanze invernali?». Eravamo colleghi. Ho lavorato, mentre frequentavo l’università, regolarmente assunto nel pubblico impiego, come operatore psichiatrico. Dopo cinque anni mi sono licenziato. È stato un moto dello spirito: non tutto, nella vita, è riducibile a un lavoro garantito e ai benefici che ne conseguono. Non è concesso disprezzarli, bisogna rispettarli, non salva idolatrarli.
C’è stato un periodo in cui salivo sul palcoscenico quasi ogni giorno. Concerti dei PGR, uno spettacolo con Teresa De Sio e cantori e musicisti della tradizione del Sud, con Ambrogio Sparagna in tre moduli diversi, in teatro con Barberio Corsetti, serate occasionali con musicisti jazz. L’unico problema era ricordare, non confondere testi, scalette, e soprattutto le intenzioni. Ero interessato a tutto ciò che succedeva nel mondo e discutevo molto. In buona e spesso ottima compagnia. Un lavoro molto gratificante, ma appena possibile tornavo a casa, sui monti. Non mi sentivo diverso da coloro che, nella mia famiglia, mi avevano preceduto ed erano stati costretti a scendere al piano, in città, per garantirsi una economia.
Diverso è il tempo, diverse le opportunità. Ripartire diventava ogni volta più difficile. Anche una dimensione privilegiata del vivere può interrogarsi e riconoscersi fondata sul caduco o sul vuoto. Ho assecondato un moto dello spirito e mi sono fermato, sui monti. Ora si preferisce definirlo un percorso. L’uso delle parole denota un sostanziale impoverimento dell’immaginario, ma si diceva: «La vita è un viaggio». In qualche modo lo è, e in forma tridimensionale: carnale, mentale, spirituale. L’equilibrio determinato dal loro quotidiano intrecciarsi segna l’unicità e l’irripetibilità di ogni essere umano. È parte sostanziale del mistero in cui siamo immersi e ci determina fissando un limite incontrovertibile: la nascita, generazione su generazione. Ne deriva una fisicità, una forma mentis, un qualcosa difficile da definire, e ogni civiltà lo rinomina secondo i presupposti che la costituiscono: fato, destino, provvidenza, casualità. Entro questo limite sta il libero arbitrio, a nessun’altra creatura è concesso. Per potersi sviluppare, il corpo necessita di nutrimento, movimento, riposo. La mente cresce nella dedizione, nello studio, nel concreto operare. L’anima si nutre di silenzio. Solo dal silenzio fluisce l’infinito e dall’infinito può affiorare il pregare come codice di un conversare in così totale asimmetria. C’è una tensione fortemente perorata, al limite dell’imposizione, a una connessione totale. Ne consegue la riduzione del tempo a un unico attimo condiviso in diretta. Ci si affida alle macchine per nuove libertà e ci si consegna, inermi, a sconosciute servitù. Del corpo, della mente, dell’anima. La contemporaneità può diventare un immane fardello.
Inizia l’anno di grazia 2018, ogni giorno è un nuovo giorno e si può ricominciare, volendo, con altra intenzione. Il silenzio è di sempre.
 
di Giovanni Lindo Ferretti