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Il sorriso di Marina

​Tanti tanti anni fa, quando mia figlia era ancora piccola, davo qualche lezione privata, e riuscivo pure a divertirmici, coinvolgendo i malcapitati ragazzi in surreali dialoghi con la mia Cecilia treenne, per illustrare col suo esempio concreto le meraviglie dell’apprendimento del linguaggio.
A volte andava bene, altre meno, ma la piccola ci si appassionava moltissimo, le sembrava di giocare con la mamma e con i grandi; e anche a me questo piaceva assai, mi pareva di aver inventato qualcosa.
In un pomeriggio di primavera avanzata, direi a inizio maggio, insieme allo studente previsto si annunciò una volta una sua cugina, alla quale avevo detto di non avere il tempo di dare lezioni personali, ma che voleva perlomeno ascoltare un paio di quelle del cugino, di nome Francesco ma chiamato Checcotti. Lui era allegro, un po’ menefreghista e giocherellone, e riusciva molto simpatico a Cecilia; ma quando la cugina entrò in casa dietro di lui, sembrò che l’intera stanza si illuminasse al suo contagioso sorriso.
Si chiamava Marina, e da allora il suo sorriso non mi ha più lasciato. Fin da quel primo giorno incantò la bambina – ma, devo dire, anche la madre. La sua voglia di assorbire idee, nozioni, correzioni era trascinante, e invogliava a parlare, spiegare, accalorarsi: come quando si entra in così grande sintonia con un allievo che insegnare diventa “cosa semplice e conforme a natura”, come direbbe il grande Buzzati. In più, lei sfoderava spesso il suo ampio sorriso, colmo di affettuoso calore e di innato ottimismo. Brillava prezioso di complicità e di indulgenza, prometteva lunghi pomeriggi con caffè allungato e dolcetti, chiacchiere e riflessioni, bei doni di umanità e di saggia pazienza. E in effetti per tutti questi anni – fino ad oggi, quando in un momento di malattia mi è stata vicina e presente con le sue cure e il suo sorriso, ancora e sempre luminoso – la vita di Marina si è intrecciata alla mia, arricchendola della variopinta realtà di un’amicizia concreta e di mille scambi di opinioni, impressioni, consigli. Poche e poco aggressive le nostre baruffe, perché in certi casi lei semplicemente tace... e sorride.
Non ci siamo più perse di vista. Si è laureata con me ancora giovane assistente, ha scelto testi e scritto libri con me, si è appassionata alle vigorose scrittrici del nostro Ottocento, ha tradotto testimonianze di sopravvissuti armeni. E poi abbiamo organizzato insieme conferenze e letture, siamo andate a presentare libri o a parlare della tragedia armena su e giù per l’Italia, da una scuola all’altra, da una biblioteca a un’associazione di anziani, da un festival letterario a un dotto convegno. Nel frattempo Marina si è sposata, ha avuto due figli, ha insegnato – molto bene e per molti anni – portando con sé dovunque equilibrio e saggezza.
Una saggezza spesso duramente conquistata, con quella fatica che proprio chi più sa sorridere agli altri tiene accuratamente nascosta. E se esiste l’amicizia senza confini, quella in cui la fiducia reciproca si consolida e irrobustisce nel passaggio del tempo, mentre la luce quieta del perdono si diffonde sugli inevitabili errori e mancanze di un amico verso l’altro, io credo che essa germogli in modo particolarmente vitale là dove si appoggia sulla concretezza del vivere – e del sorridere – quotidiano.