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Janácek, musica slava per il Novecento

di Andrea Milanesi

​«Se Janáček fosse stato francese, oggi sarebbe importante e famoso quanto Ravel»: con questa affermazione provocatoria il musicologo Massimo Mila celebrava la statura artistica di Leóš Janáček (1854-1928), maestro ceco la cui produzione vanta capolavori assoluti che vanno in alcuni casi riscoperti con curiosità e avvicinati con interesse. Di un autore che viene generalmente considerato un compositore del Novecento, anche se ha vissuto i suoi primi quarantasei anni nel XIX secolo, ma che nella fase finale della sua esistenza ha continuato a sviluppare il proprio linguaggio in un percorso di ricerca da cui sono nate pagine di assoluto valore.
Tra queste un posto di primo piano spetta alla Messa glagolitica, opera frutto di diversi abbozzi e ripensamenti, nella concezione globale come nelle singole sezioni. I primi frammenti risalgono intorno al 1907, ai tempi della stesura di una Messa latina per coro misto e organo, ma la forma definitiva venne ultimata tra il 1926 e il 1927, anno in cui venne eseguita per la prima volta dal Coro e dall’Orchestra del Teatro di Brno diretti da Jaroslav Kvapil.
Il testo della Messa è in antico slavo ecclesiastico e il termine “glagolitica” intende proprio richiamare l’arcaica scrittura d’origine bizantina (anteriore alla “cirillica”), il cui alfabeto venne utilizzato intorno al IX secolo per tradurre la Bibbia e i testi sacri. Con un organico che prevede un quartetto di voci soliste – soprano, contralto, tenore e basso – doppio coro, organo e orchestra, la partitura è strutturata in otto distinte sezioni, di cui cinque corrispondenti alle parti tradizionali della Messa e tre esclusivamente strumentali: la grandiosa introduzione orchestrale (Úvod), il virtuosistico Postludium affidato all’organo, e la spettacolare Intrada che chiude il lavoro.
Nella Glagolská Mše Janáček evidenzia la sua maestria nella scrittura di musica vocale; nelle sue mani il coro diventa un vero e proprio strumento, duttile e versatile, a cui affidare la trama portante di un discorso musicale scandito attraverso un linguaggio ritmicamente vibrante e ricco di colpi di scena, di alto contenuto drammatico o con accenti estremamente poetici – come nell’episodio della Crocifissione all’interno del Credo (Věruju) o nell’oasi serena e pacificante dell’Agnus Dei (Agneče Božij) – in cui il culmine della tensione viene raggiunto anche attraverso l’utilizzo di armonie aspre e dissonanti o momenti di instabilità tonale.
È questo il baricentro artistico e spirituale di un’opera estremamente densa e complessa, perfettamente inquadrata dalle parole di un altro grande critico musicale italiano, Fedele D’Amico, che al cuore della produzione del compositore ravvisava innanzitutto un’impronta di carattere profondamente etico: «Janáček era un uomo profondamente religioso, ma non in senso mistico; il sentimento religioso era per lui essenzialmente il fondamento morale di una fermissima adesione al mondo di quaggiù».
Invito all’ascolto. Leóš Janáček, “Messa glagolitica”: Danish National Symphony Choir & Orchestra, Charles Mackerras (Chandos/Ducale); City Of Birmingham Symphony Orchestra, CBSO Chorus, Simon Rattle (Warner Classics); Warsaw Philharmonic Orchestra & Chorus, Antoni Wit (Naxos/Ducale).