Le lacrime di Pietro
di Maria Gloria Riva
È di una bellezza impressionante questo Pietro affranto, con il gesto goffo di mani che quasi faticano a stare unite in preghiera per la vergogna. È stato giustamente detto che, per la Chiesa, fu più fecondo il tradimento di Pietro che non l’ardimento fedele di Giovanni. Non sappiamo, infatti, quanti di noi sarebbero stati con Cristo in quell’ora fin sotto la croce, sappiamo però, ahimè, che facilmente lo avremmo rinnegato come Pietro, per paura.
Georges de La Tour sorprende san Pietro in una buia cantina, mentre piange a dirotto per il tradimento appena consumato. Le mani del santo si stringono per il rimorso e gli occhi esprimono, nel dolore, estrema dolcezza. È lo sguardo di chi, pentito di ciò che ha commesso, si è sentito perdonato, amato fin dentro le viscere, trapassato da uno sguardo di misericordia. Luca, evangelista del perdono, registra con acutezza lo sguardo di Gesù verso il primo tra gli apostoli: primo, eppure anche traditore. Cristo, guardando Pietro, dopo che egli aveva tradito, manifesta l’immensa compassione del Padre il quale, pur conoscendo l’uomo e la fragilità del suo cuore, lo ama ugualmente e lo vuole salvo.
Ci sono poche cose attorno all’apostolo: un gallo, due pietre, un ramo d’edera, una lampada. Pochi e indovinati oggetti che raccontano tutto di Pietro, per una volta liberato dalle sue chiavi. Sì, La Tour tace la presenza delle chiavi, attributo principale del santo: egli ha guardato non a quel Cefa su cui poggia la Chiesa, ma a Simone, figlio di Giovanni, così vicino a noi che camminiamo a tentoni verso la luce, così simile a noi nel pianto. Testimone delle lacrime di Pietro è un gallo, quello stesso che, cantando, è stato per l’apostolo la voce della coscienza: triplice fu il rinnegamento, triplice il canto dell’animale. Tuttavia quello che è generalmente considerato il simbolo lugubre del tradimento è in realtà la buona novella di un’alba nuova. Il gallo è l’animale del sole che sorge, della luce che vince le tenebre. Così, dunque, nella buia cantina di La Tour il gallo annuncia la Pasqua imminente, la tomba vuota e l’inizio di quel primato di Pietro che lo porterà a seguire l’esempio del Maestro, diventando lui stesso segno di risurrezione per il mondo.
Ai piedi di Pietro, Georges de La Tour dipinge una lampada. Il pittore, protagonista del luminismo caravaggesco, era solito usare l’espediente della fiamma per creare suggestivi chiaro scuri, ma qui, come altrove, quella lanterna ai piedi di Pietro dice la fede dell’apostolo, per la quale il Signore stesso aveva pregato, che regge nell’ora del dolore. Per questa fede egli è ormai la pietra d’angolo della Chiesa, come testimoniano le due pietre collocate sullo sfondo, per questa fede egli diventerà, nei secoli, sinonimo stesso di fedeltà a Cristo.
Un ramo d’edera pende quasi casualmente dal muro; non è semplice decorazione, è segno che la Parola di Cristo non muta: «“Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. E Pietro gli disse: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. Gli rispose: “Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”» (Lc 22, 31-34).
Il gallo e l’apostolo guardano nella stessa direzione. Sì, essi vedono sorgere un’alba di fronte alla quale la luce della lampada impallidirà, ma senza questa tremula fiamma, difficile sarebbe stata l’attesa, vana la preghiera, vacillante la fedeltà. Ecco perché tra gli infiniti ritratti di Pietro questo è il più bello: ci ha fatto del bene il Principe degli apostoli con la sua fragilità, ci ha fatto del bene la sua capacità di non disperare e di confidare in Cristo nonostante sé. Per questo anche in noi si potrà accendere la speranza, verde come l’abito con cui lo ritrae Georges de La Tour.