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Le mie Terese, operose e creative

​Antonia Arslan

Teresa è un nome che amo. Un po’ antiquato, un po’ casalingo, profuma di buono e di mani operose. È il nome di una mia bisnonna, la contessina Teresa Zaborra, di mia cugina Teresa Maria Arslan Ginoulhiac, che vive a Bergamo ed è architetta, e di una Teresa veneta dalle mani fatate a cui voglio molto bene e che ammiro perché crea meraviglie.
Ho pensato alle mie Terese qualche giorno fa, quando - in un cassettino che non apro mai, ma dove so che tengo strani ricordi - ho trovato un piccolo ditale molto usato; sulla punta tonda, ho decifrato un po’ a fatica le iniziali T. Z., che sono quelle di Teresa Zaborra. E mi è tornato in mente, come una memoria improvvisa, che lo avevo scoperto nella scrivania di mio padre dopo la sua morte, fra le sue carte in disordine accumulate nei cassetti laterali: copie di lettere ai figli (ci teneva moltissimo, soprattutto se eravamo lontani, a mandarci lunghe missive sulle sue giornate, sperando di riceverne sulle nostre), prontuari medici, fogli sparsi di riflessioni malinconiche. Sotto le carte, il ditalino d’argento. Me ne impadronii subito, e fantasticai un poco sul ritratto serissimo in scuri abiti severi col collettino bianco, senza l’accenno di un sorriso, di quell’ava di cui non avevo quasi mai sentito parlare. Il ditale invece parlava, di dolci lavori d’ago e di antiche pazienze. E io avevo ereditato la sua collana di coralli. Me la sentii vicina, amica, benedicente.
Teresa Maria è la mia cugina grande. Così bella mi pareva quando gli zii ci venivano a trovare da Milano, con il suo visetto a cuore, la morbida voce e gli occhi vispi. Ed è ancora bella; ed evoca teneri ricordi famigliari con la stessa voce carezzante di un tempo.
Ma è la terza Teresa la mia grande amica. Magra e veloce, si muove rapidamente scuotendo la bianca crocchietta ribelle e gioca nello spazio con le sue mani che creano incanti. Inventa danze e veste i danzatori con misteriose stoffe cangianti che trova in polverose soffitte o in bauli vecchiotti e tarlati. Crea maschere e personaggi: li trascina fuori dai libri (anche dai miei...), li scuote gentilmente e li rende vivi e parlanti, e ogni frase diventa un messaggio: sono creature dolenti o serene, vecchi sapienti ed esotici magi, donne coraggiose e bambinetti guizzanti, un piccolo mondo di fiaba, in cui i movimenti di tutti si intrecciano in una danza complessa e intricata ma sempre armoniosa. Lo spettatore affascinato segue la storia e amerebbe saperne di più, ma troppo presto il sipario cala - anche se subito si vorrebbe ricominciare.
Ma le mani sapienti di Teresa già si rivolgono altrove. Un’altra idea, un’altra storia la persuade e la chiama a una nuova avventura: e così ogni occasione, ogni rito, ogni festa con lei si rinnova. E una volta... Avevo raccontato la nascita del Bambino, e i re Magi arrivati dall’Oriente; e poi di come nella lunga strada del ritorno, percorrendo l’innevato paese d’Armenia, morisse il più vecchio di loro, Gaspare. Sulla sua tomba sarebbe sorto un venerato monastero, incendiato e distrutto al tempo della Grande Tragedia; ma tutto si intrecciava alla storia del mandylion di Edessa, del re Abgar e della sua lettera a Gesù. Con lei, le mie parole divennero movimento, fluida energia; e i personaggi, creature viventi, li sentii respirarmi vicino.