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Los Angeles, la cucina greco armena di Helèna gioia antica ritrovata in un piatto

​All’incrocio di due trafficatissime strade di Glendale, contea di Los Angeles, California, c’è un ristorante che si chiama “Da Helèna”. Il locale è piccolo, di forma rettangolare: sembra un grande pullman con una sola entrata in un angolo, una porta allegramente basculante che non è mai ferma, perché tanta gente ci viene anche solo per prendere del cibo da portarsi a casa. La proprietaria è una bella signora rotonda greco-armena, che ama la sua cucina e i suoi clienti, e vuole intorno a sé solo gente sorridente che gusta in santa pace le sue specialità.
Non ci sono tavoli, da Helèna, ma lunghe panche parallele con un passaggio in mezzo; sul lato verso la strada c’è una grande vetrata tutta bordata di fiori finti dai colori gessosi, cui corrisponde sul lato interno un fantasmagorico dipinto su temi della mitologia greca – interpretati molto liberamente. Ma alla variopinta e fedele clientela che affolla il locale tutto ciò importa ben poco; le bastano le tinte accese delle figure e la bellezza della giovinetta Andromeda che si protende verso il mare in tutta la sua procace nudità mentre un grassoccio mostro marino avanza verso di lei, circondato da pesci e delfini. La ragazza non sembra tanto atterrita, piuttosto accenna a un sorrisetto sghembo. In un angolo, Perseo vestito da romano antico imbraccia la lancia contemplandosi i piedi, ma nessuno fa molto caso a lui.
La prima volta, Helèna in persona ci illustrò il suo affresco parietale, «fatto da un vero artista, così sensibile», e ci mostrò i numerosi attestati appesi qua e là come capitava; poi ci portò pane lavash e una zuppa di ceci caldissima, che emanava misteriosi profumi d’Oriente, si sedette vicino a noi e ci raccontò orgogliosamente uno di quegli attestati che la indicava come la cuoca preferita dalla polizia di Glendale. «Vengono tutti a mangiare da me, gli agenti. Dicono che il mio cibo armeno li rinvigorisce, molto più di quello delle loro mogli. Così poi arrivano anche le mogli, di nascosto, per imparare i miei segreti, ma io concedo pochissimo, altrimenti dovrei chiudere bottega», sospirò con finto dispiacere.
Lo scorso novembre, alla vigilia della festa del Ringraziamento, siamo tornati da lei, e non solo per mangiare: volevamo anche far vedere agli amici che erano con noi il mitico affresco con la storia di Andromeda. Ma la parete era diventata tutta bianca, ridipinta di fresco, e gli attestati erano appesi ordinatamente su un lato, dal più grande al più piccolo. Una ragazza venne a prendere le ordinazioni, in fretta: dovevano chiudere presto per via della festa del giorno dopo.
Ci immalinconimmo, e tutto ci parve più scialbo. Ma poi Helèna tornò coi piatti fumanti: zuppe e spiedini di agnello, un lule-kebab da leccarsi i baffi, pizzette armene e formaggio fritto, e disse: «Siete gli ultimi clienti, voglio riposarmi con voi». Stappò una birra e ci sorrise, dicendo che aveva chiamato il pittore perché la parete bianca le metteva il nervoso, e voleva un’altra bella storia degli eroi antichi, «perché io sono mezza greca, sapete?», aggiunse accennando una canzone e un passo di danza. Allora di nuovo ci avvolsero l’incanto mediterraneo e la nostalgia del Paese Perduto, e restammo con lei a contarcela sprofondando nei ricordi e cantando canzoni.
 
di Antonia Arslan