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L’affresco di Bach ai piedi della croce

​Nella storia del lascito musicale di Johann Sebastian Bach, la Passione secondo Giovanni è a lungo rimasta all’ombra della Passione secondo Matteo, capolavoro assoluto riscattato dall’oblio grazie alla celebre esecuzione che ebbe luogo nel 1829 a Berlino sotto la direzione dell’allora ventenne Felix Mendelssohn. In quell’occasione, passato e futuro sono arrivati a coincidere in modo ideale nell’assicurare pubblicamente alla figura di Bach il medesimo status elevato che aveva già a lungo goduto in ambito professionistico. E col passare degli anni anche la Johannes-Passion è riuscita a conquistare il giusto peso specifico che le compete; già nel 1830, un anno dopo la riproposizione mendelssohniana, Robert Schumann esprimeva il suo particolare entusiasmo per la «piccola Passione», che considerava «molto più audace, più potente, più poetica di quella tratta dal Vangelo di Matteo».
Della Johannes-Passion si conoscono con esattezza le date delle due prime esecuzioni, entrambe tenute a Lipsia, corrispondenti ad altrettante distinte versioni della partitura – 7 aprile 1724 (nella Nikolaikirche) e 30 marzo 1725 (nella Thomaskirche) – mentre altre rappresentazioni ebbero verosimilmente luogo nel 1728 e nel 1746. Da parte di Bach, la Passione secondo Giovanni è stata oggetto di continue e significative sperimentazioni come non è mai accaduto per nessun’altra sua composizione di ampia concezione. Ciò è stato innanzitutto reso possibile dalla struttura del testo, nel suo particolare rapporto tra racconto evangelico e passi meditativi liberamente adattati che – a differenza del libretto scritto da Christian Friedrich Henrici (noto come Picander) per la Matthäus-Passion – erano di varia provenienza e quindi in linea di principio facilmente intercambiabili, senza per questo mai pregiudicare la visione d’insieme delle vicende raccontate nella Passione. Come ha infatti avuto modo di sottolineare il musicologo Alberto Basso, «l’esegesi neo-testamentaria è concorde nel cogliere, all’interno del Vangelo giovanneo, una struttura precisa, un piano organico di esposizione, che assume carattere dinamico e drammatico secondo una progressione calcolata, quasi a effetto, verso l’affermazione finale della fede e della sua conoscenza».
Nella straordinaria sequenza dei quaranta numeri in cui è strutturata la partitura – dei quali il primo e l’ultimo sono indipendenti dalla narrazione – si assiste a una vera e propria mise en scène. La profonda carica di pathos dei recitativi, la ricchezza inesauribile di idee melodiche delle arie, la vasta padronanza del colore orchestrale sono i tratti distintivi da cui scaturisce un’esperienza che si spinge ben oltre il semplice contraccolpo estetico, per quanto questo possa risultare di forte impatto. L’esito è perfettamente espresso dalle parole pronunciate dall’illustre direttore e compositore Leonard Bernstein: «Per Bach la musica era religione, comporla il suo credo, suonarla una funzione liturgica».
Invito all’ascolto. Johann Sebastian Bach, Passione secondo Giovanni: Wiener Sangerknaben & Concentus Musicus Wien, Nikolaus Harnoncourt (Teldec / Warner); The Monteverdi Choir & The English Baroque Soloists, John Eliot Gardiner (Soli Deo Gloria / Sound and Music).

di Andrea Milanesi