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Maddalena e il Crocifisso l’umanità dolente

​«Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui. E perché è, non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso, che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio». È la descrizione di Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai (San Giovanni Valdarno 1401- Roma 1428) detto, appunto, Masaccio, tratteggiata da Giorgio Vasari. Ed è ancora grazie al Vasari se oggi siamo in grado di ricostruire, almeno parzialmente, il cosiddetto Polittico di Pisa, sulla cui cimasa campeggiava questa poderosa, benché piccola, e ineguagliabile crocifissione. Conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli, è esposta fino al 10 luglio nella mostra “Maddalena. Il mistero e l’immagine”, presso i Musei San Domenico a Forlì.
Il fondo oro, stilema legato a un gusto ancora tutto tardo gotico, non impedì all’artista di dipingere i personaggi quasi a tutto tondo, in una magia di piani e prospettive capaci di restituirci la solenne drammaticità dell’ora della croce.
L’asse verticale del patibolo (axis mundi) raccoglie tutta la teologia del grande Mistero: in alto l’albero della vita, di nuovo accessibile all’umanità grazie alla passione e morte del Redentore. Sotto Maria di Magdala accasciata nel dolore e frutto di un ripensamento, quanto mai riuscito, dello stesso Masaccio.
Proprio in questa Maddalena rosso fuoco, vogliamo fissare il nostro obiettivo per leggere tutta l’opera. Di lei non vediamo il volto perché essa rappresenta tutti noi, rappresenta quella Chiesa che tende le braccia al cielo in un’implorazione continua di dolore e di speranza. Dolore per quel panorama infuocato che continua a essere la storia umana, nonostante il sacrificio di Cristo; speranza perché in cima a ogni croce ci attende il verdeggiare della risurrezione. In questo masaccesco abito rosso della donna di Magdala è rappresentato il più appassionato grido di preghiera di tutta la storia dell’arte. I capelli dorati s’incuneano fra i panneggi come bagliori di luce, promessa certa dell’esaudimento divino. Eppure il Cristo è ormai abbandonato al sonno della morte. Masaccio lo ritrae con il collo incassato e le gambe leggermente schiacciate, quasi per esasperare la visione scorciata che si aveva contemplando dal basso la crocifissione, collocata in origine all’apice del polittico a circa cinque metri di altezza. L’orante perciò, guardando il Cristo crocifisso, era costretto a immedesimarsi nella Maddalena e nella sua inconsolabile prostrazione. L’anatomia del corpo di Gesù suggeriva però anche l’estremo sforzo, con l’inarcamento della cassa toracica, di chi raccoglie l’ultimo respiro prima di abbandonarsi alla morte. Così Masaccio interpreta quell’ora giovannea in cui Cristo emise lo spirito, donando alla sua Chiesa il Consolatore.
Il contrasto fra la statuaria compostezza dei dolenti (la Madre di Gesù e l’apostolo Giovanni) e la disperazione inconsolabile della Maddalena è forte e voluto. Nella Vergine Maria e nel discepolo amato si registra la serena dignità di chi vive nel già della fede, sapendo che il dolore non è l’ultima parola sull’uomo; nella Maddalena vibra lo strazio dei credenti che non si rassegnano alle tribolazioni della terra. In un’ora difficile per l’umanità, come quella attuale, queste braccia aperte verso il cielo sono davvero interpreti dello stato d’animo di molti; ma esse diventano anche segno certo della rinascita. Proprio quella donna rossa di dolore, infatti, di lì a poco, sarà confortata dal Risorto nello scenario di un giardino. Allo stesso modo quell’albero, che verdeggia oltre gli spasmi del Crocifisso, ci rassicura di nuove mete e nuovi cammini perché il Cristo ha vinto il male e la morte.