Piero e l'attesa di Maria
È collocato in un museo che una volta era una scuola elementare, da tempo dismessa perché di bambini non ce ne sono più a Monterchi, villaggio di poche centinaia di anime nel cuore della Valtiberina. Triste destino (essere ospite di una scuola senza più bambini) per un dipinto che raffigura la Madonna incinta... Mi riferisco alla Madonna del Parto, celebre affresco che Piero della Francesca dipinse all’incirca nell’anno 1455 per la cappella votiva di Santa Maria di Nomentana, alla periferia del paese. Staccato nel 1911, l’opera è diventata una pittura mobile, oggi visibile nell’ex scuola. Dovrebbe tornare nella sua cappella, ma dispute infinite che riguardano la proprietà e l’uso fra il comune, la soprintendenza e la curia di Arezzo hanno fino a oggi impedito la doverosa restituzione. Storie di ordinaria burocrazia. Ma parliamo piuttosto del dipinto, un’immagine sacra che per generazioni ha raccolto le preghiere delle partorienti della Valtiberina, le donne che venivano di fronte alla Madonna del Parto per raccomandarle la creatura che portavano in grembo. Poche immagini della storia dell’arte hanno sollecitato metafore poetiche altrettanto suggestive e interpretazioni teoriche altrettanto complesse. Si pensi al Longhi che seppe cogliere con fulminea esattezza il carattere al tempo stesso rustico e aristocratico della Madonna; per cui essa gli apparve, nella monografia del 1927, «come giovane montanina che venga sulla porta della carbonaia», solenne tuttavia «come figlia di re sotto quel padiglione soppannato di ermellino».
O a Kenneth Clark che – sedotto dal fascino di quel che considerava un’enigmatica sacralità – evocava singolari consonanze con la «grande scultura buddista» oppure con la «pittura cinese primitiva» (1951). O, ancora, a Charles De Tolnay per il quale la Vergine di Monterchi è la “mater omnium”, una pensosa “Demetra cristiana” testimone del «mistero eterno della umana generazione» (1963). Quanto ai significati iconografici e iconologici (valga per tutti il saggio di Thomas Martin del 1993) si è voluto coinvolgere le geometria esoterica dei corpi regolari per piegare l’immagine sacra a complicati messaggi cosmologici e teologici. Proviamo, per una volta, a leggere la Madonna del Parto con uno strumento interpretativo molto semplice e tuttavia assai efficace. Lo strumento è l’Ave Maria, una preghiera antica come il nostro popolo e, fra tutte, la più conosciuta. «Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus». Il cuore dell’Ave Maria sta in queste undici parole nelle quali si esalta il primato della Vergine su tutte le donne («benedicta tu es in mulieribus») e si dà ragione di tale primato. La Vergine è benedetta tra le donne perché il suo ventre (“ventre”, si badi bene, e non “seno” come recita la pudica traduzione italiana, effetto probabile della stessa pruderie controriformistica che emarginò fino a cancellarla l’iconografia della Madonna gravida) ospita Cristo Salvatore.
La Madonna di Monterchi, fasciata nel prezioso blu mandarino della semplice tunica, si dispone secondo una leggera positura di tre quarti, perché più evidente risulti la sua condizione di donna incinta. Porta il braccio sinistro sul fianco in un assetto che è di vigile riposo, ma anche di orgogliosa consapevolezza del suo stato. La mano destra sfiora il ventre nella trepida carezza protettiva che ogni gestante bene conosce. Essa è quindi la giovane madre contadina sorella delle partorienti che in lei si sono riconosciute, ma è, allo stesso tempo, la “Benedetta del Signore”, colei che porta in grembo la salvezza del genere umano. È tipica di Piero della Francesca la capacità di sacralizzare il Vero e, insieme, di dare al Sacro l’evidenza di un naturalismo perfettamente archetipo. La Madonna gravida in atto di indicare il visibile frutto del concepimento sta al centro di un padiglione che svolge la funzione di vero e proprio tabernacolo del Corpus Christi. I due angeli che, in perfetta simmetria – anzi fra di loro speculari perché tratti dallo stesso cartone – spalancano i lati della tenda, danno alla scena la ritualità di una solenne ostensione eucaristica. Sono passati più di cinque secoli da quei giorni d’estate che videro Piero della Francesca dipingere la cappellina di Nomentana. Al posto dei contadini illetterati di un tempo ci sono i turisti di oggi, ma la ragazza di Monterchi riesce ancora a trasmettere (tale è la suggestione iconica del dipinto) un intatto messaggio di maternità e di sacralità.
di Antonio Paolucci