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Storie che nascono all’alba soltanto

di Antonia Arslan

​Fedeltà oltre gli anni. Come parlare della mia amica Marta senza ricordare quella lunga notte degli esercizi spirituali durante la mia prima liceo?
La cena era stata assai modesta, ma la sera era tiepida, in quella fine di giugno. Ci sedemmo tutte fuori nell’ampio terrazzo, a chiacchierare, condividendo un sacchetto di cioccolatini e bottiglioni di aranciata: poi alcune andarono a dormire, Marta e io continuammo a parlare, trovando continuamente nuovi argomenti e motivi d’intesa, fino all’alba. Eravamo determinate a passare la notte restando sveglie. Quando finalmente vedemmo spuntare un tenue chiarore dietro gli alberi del giardino, ci sentimmo un po’ eroiche. Quasi senza che ce ne accorgessimo, dietro i discorsi, le chiacchiere, i pensieri vagabondi, erano nati fra noi sorrisi contenti, fiduciosi sorrisi. Si intrecciò quella notte quell’amicizia costante e leale, questo stare bene insieme che ha poi pervaso la nostra vita intera: eppure eravamo – e siamo – diversissime, di indole e carattere, nel modo di esprimerci e di reagire agli stimoli esterni. Abbiamo camminato insieme per tante strade. Eppure lei è sempre stata migliore di me nell’amicizia, senza angoli oscuri, reticenze, piccoli inganni. Io le ho sempre raccontato i miei grandi progetti, mi sono abbandonata a filippiche tonanti, a propositi clamorosi, ho saggiato su di lei – e con lei – tutto quello che mi passava per la mente. Magari abbandonando l’idea subito dopo, se vedevo che taceva perplessa... Lei mi chiedeva sempre consigli, e io ero sempre felicissima di darne, con enfasi ben argomentata e assoluta convinzione. Mi faceva sentire importante, e mi pareva di acquistare quell’equilibrio e quella saggezza che sapevo benissimo che in realtà mi mancavano: ma Marta mi smontava senza sapere di farlo. Ascoltava con molta partecipazione, faceva domande, si dimostrava convinta, e poi serenamente faceva il contrario. Io magari ci restavo male, per un momento; poi la vita mi trascinava verso nuove idee e pensieri, nuove bandiere che fluttuavano al vento della mia immaginazione, e a chi raccontare tutto quanto, se non alla mia paziente amica fedele? A chi recitare poesie, cantare le canzoni che mi riempivano il cuore?
Così abbiamo insieme attraversato gli anni: e se quando i figli erano piccoli e insegnavamo in luoghi diversi ci fu qualche intermittenza di tempi, io sapevo che lei c’era sempre. Poi accadde che – innamorati della Val Belluna – noi comprammo una casetta rustica, abbandonata da molti anni, nel piccolissimo borgo di Campel Alto di Santa Giustina. E pochi mesi dopo anche lei e Francesco suo marito, che veniva da Monopoli di Puglia e cucinava per tutti verdure gloriose d’aspetto e sapore, comprarono quella vicina, altrettanto abbandonata. Che anni furono quelli! Le lunghe estati di sole e di pioggia, di giorni splendenti e temporali furiosi, restaurare, imparare bellissime canzoni popolari di tutta l’Italia, piantare alberi (magari troppi, nella nostra ignoranza di quanto poi crescono e si danno fastidio l’un l’altro), estirpare erbacce con passione sfrenata per ore, andare a Messa più in basso, a Cergnai, che aveva parroco e chiesa funzionanti, tutto si accavalla nella memoria come un unico, lunghissimo giorno: e Marta c’è sempre, c’è ancora, in quella luce amorosa e benefica.