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Una cena per dodici

​Era un sabato sera di metà dicembre, e un gruppo di amici decise di incontrarsi, a Padova, in una casa ospitale. Venivano da Milano, Padova, Carate Brianza, Ferrara, New York.
Si conoscevano certo fra loro, condividevano molto e si stimavano, ma non erano mai stati a cena tutti insieme, non avevano mai condiviso pane, sale, vino, e le conversazioni pacate attorno a una tavola, sopra una grande tovaglia bianca. In realtà ci fu quella sera - ad allietarli - molto più di pane e sale: un sontuoso pasticcio di lasagne dalla crosta sfarzosamente luccicante, il cui profumo dispose gli animi a un riflessivo silenzio. Finché la teglia di cristallo trasparente non fu grattata fino all’ultimo residuo, e la sapiente Orietta, l’autrice, non si affacciò orgogliosa alla porta, accolta da un fragoroso applauso: e tutti sorrisero.
E poi i loro pensieri cominciarono a vagare nelle contrade dell’amicizia, là dove le emozioni e le idee si formano, si incrociano, maturano. Se vengono espresse con gioia - e accolte con interesse e grata sorpresa - si rafforzano, si ramificano, si approfondiscono nella condivisione. E poi si parla, ed è un vero parlare, di tutto e di nulla, cose grandi e piccole, i dettagli del cuore e i grandi temi della vita.
 Ci si accampò quindi in un disteso conversare per quel tempo breve - ma che nel ricordo si aprirà come un fiore - e allora ci sembrò che la serata non sarebbe mai finita, che saremmo stati sempre insieme a scambiarci discorsi, a mangiare il pasticcio profumato e l’invitante arrosto, il dolce preparato da mani gentili e infine a sgranocchiare mandorle e noci sul passito di Pantelleria.
Ma che cosa è l’amicizia se non un dialogo mai veramente interrotto - in presenza e in assenza - con le persone alle quali ci siamo legate con quella misteriosa comunanza e fraternità che implicano sì l’affetto, ma anche il concreto “stare insieme” di quei brevi momenti di vita che illuminano una giornata: un caffè pomeridiano con due biscottini, un colorato aperitivo, un pranzo in terrazza sotto i glicini in fiore? O anche lo studio paziente?
Io c’ero, a quella cena padovana. E conoscevo ognuno dei presenti: Carlo, Ambrogina, Gianantonio, Luca, Alessandra, Davide, Sara, Siobhan, Nora, Gino, Cinzia. In dodici eravamo seduti intorno alla tavola, e l’aria che circolava fra noi era elettrizzata e potenziata dall’amicizia che legava ognuno agli altri, singolarmente e - in quel preciso momento (così direbbe il mio Buzzati) - anche collegandoci in un tutto, come una comunità serena e coesa, che festeggiava e onorava la bellezza di stare insieme, in quei giorni di dicembre impregnati dell’attesa del Natale.
Non furono, i nostri, discorsi ricercati, impegnati o profondi, ma neppure futili chiacchiere beneducate, o giochi verbali: furono la tessitura meravigliosa di un rapporto che - quando ci lasciammo con nostalgia - tutti desideravamo di continuare e approfondire, anche per la naturalezza felice che ci aveva uniti. C’erano stati racconti del passato e piccole storie, ricordi cari come gemme preziose da donare e da ricevere; e molti scherzi. È dolce lasciarsi prendere in giro con amabilità, incontrarsi con gli occhi mentre si azzarda una battuta, o un discorso appassionato; e infine lasciarsi con nel cuore un tesoro.