Luoghi dell' Infinito > Van der Laan e la ratio della liturgia

Van der Laan e la ratio della liturgia

​Dom Hans van der Laan (1904-1991), architetto e monaco benedettino, è figura di primissimo piano per lo studio delle relazioni che intercorrono fra architettura e liturgia. Si può sostenere che a partire dalla Seconda guerra mondiale, Van der Laan abbia dedicato il suo impegno teorico e il suo talento architettonico all’indagine dei rapporti che sussistono fra le due discipline.Architetto appassionato e capace ha operato a tempo pieno – con pensieri e riflessioni che riflettono lo spirito di ricerca proprio della cultura del moderno – dentro gli spazi operativi offerti dall’architettura e dalla liturgia negli anni della ricostruzione postbellica. L’interesse di questa duplice vocazione del monaco-architetto risulta preziosa poiché permette di interpretare le differenti esigenze delle architetture di culto (costruttive ed espressive) attraverso lo sguardo di un operatore diretto.
L’abbazia di Vaals, in Olanda, dove il monaco benedettino ha trascorso l’intera sua vita, è d’altronde una testimonianza costruita – perfino autobiografica – di una ricerca che in quegli anni impegnava culturalmente anche altri operatori, come Rudolf Schwarz e Romano Guardini, che in Germania avevano sollevato il problema dell’identità dello spazio “del sacro”.
Con l’ampliamento dell’abbazia a Vaals, Van der Laan realizza un percorso architettonico-teorico attraversato da ragioni liturgiche, che lo conduce a una progressiva semplificazione del linguaggio fino a giungere all’essenza della forma.
Una scrittura spoglia e spartana che si può forse anche definire come “razionalismo radicale”.
Il colto e raffinato architetto si distanzia da ogni compiacimento formale e privilegia talune intenzioni simboliche, talvolta apparentemente lontane da risposte strettamente funzionali. L’articolazione degli spazi risulta chiara, le gerarchie dei percorsi identificabili e ogni ambiente possiede una precisa connotazione.
Per l’architetto la ricerca dell’ordine è prioritaria e l’armonia dettata dai rapporti confluisce in forme e tracciati geometrici ben leggibili. La sua indagine è continuamente tesa fra l’esigenza di riconoscibilità e le possibili interpretazioni che lasciano spazio al mistero. Per il monaco-architetto sono i fatti della vita di ogni giorno (gli ambienti, gli oggetti, la luce, gli elementi di natura e i materiali) che si pongono come territori di confronto per l’esperienza architettonica, dove semplicità ed economia modellano le forme. La possibile bellezza viene riconosciuta nelle forme di vita quotidiana e la pratica monastica sottolinea il rigore e l’ordine necessari.
Dentro questo quadro razionale e nel contempo spirituale, sono rintracciabili proposte di nuove organizzazioni funzionali che lasciano emergere significati nascosti. L’architettura riscopre le capacità insite nella propria storia, rendendo possibile rinnovare prospettive e speranze già conosciute e che approdano ora a inedite espressività. Nella ricerca paziente per giungere a una logica costruttiva, l’architetto trova strategie che confluiscono in immagini di temi e memorie che richiamano il grande passato.
Van der Laan matura nel tempo un proprio codice linguistico che declina nei differenti progetti con i quali si cimenta. L’abbazia a Vaals, il monastero di Waasmunster (Belgio, 1972-1975) e la chiesa benedettina a Tomelilla (Svezia, 1978-1982) presentano tipologie molto simili dello spazio ecclesiale: vi si riscontra un’ampia aula-navata inscritta in un rettangolo che, nella parte centrale, si sviluppa in doppia altezza con aperture vetrate al piano superiore. Le due parti del coro, disposte vis-à-vis con rigore geometrico, donano centralità all’altare, mentre i banchi dei fedeli occupano la parte più discosta della navata.
Da questo impianto scaturisce un ambiente rigoroso e ordinato, spoglio e severo, che sottolinea la chiarezza della struttura statica. L’architetto non concede scarti o eccezioni: il rigore “benedettino” si fa architettura con raffinate affinità elettive che richiamano la disarmante semplicità delle architetture romaniche.
 
di Mario Botta