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Cambiamento, cambiamenti sfide da vivere da protagonisti

​Gianfranco Ravasi


La formula coniata da papa Francesco – «Questa non è un’epoca di cambiamenti, ma il cambiamento di un’epoca» – ha una sua indubbia suggestione e, per questo, ha registrato un successo anche mediatico. Essa merita una riflessione preliminare che si svolge attorno al termine centrale: «cambiamenti/cambiamento». Non si tratta solo di una variazione di numero ma anche di sostanza. Entrambi i vocaboli sono in contrappunto tra loro intrecciandosi. Certo, può essere anche un nesso dialettico e di antitesi, come sembrerebbe a prima vista nell’affermazione del pontefice; in realtà, si tratta di un’interconnessione per certi versi armonica e necessaria.
Per intenderci e senza particolari approfondimenti, ricorriamo a un paio di esempi emblematici. Il Rinascimento europeo fu sicuramente un «cambiamento d’epoca» rispetto al Medioevo, nei cui confronti segnò una linea di demarcazione, sia pure non così netta come vuole una certa vulgata. Questa «rivoluzione» avvenne, però, attraverso una serie di «cambiamenti» concreti, a partire da un diverso approccio all’antropologia, alla stessa religione (si pensi solo all’imponente peso della Riforma protestante), all’arte, alla filosofia e persino alla testualità sacra e profana. Erasmo e Lutero possono essere assunti come simboli, non solo nella loro lettura della Bibbia, ma anche nell’opposta visione antropologica espressa nel “libero” o “servo” arbitrio.
Similmente l’età moderna segnò una svolta radicale durata secoli e fu un ulteriore “cambiamento d’epoca”. Ma questo fu reso possibile da una serie di “cambiamenti” specifici che costituirono quasi la grammatica di quel mutamento. Evochiamo solo, in modo esemplificato, due fenomeni. Da un lato, l’ingresso della scienza, pronta ad affermare il suo primato o almeno la sua autonomia rispetto alla teologia: il caso Galileo e la figura di Newton possono esserne la rappresentazione simbolica. La nuova cosmologia che abbandonava il geocentrismo scandiva, però, una metamorfosi non solo nell’ambito scientifico ma un vero e proprio novus ordo epocale.
D’altro lato, la filosofia di Cartesio, il cui sistema è comunque ben più complesso, s’annodava attorno al celebre aforisma Cogito, ergo sum che poneva al centro la soggettività della persona, destinata ad autoporsi, rispetto a una concezione che privilegiava l’essere oggettivo (l’altrettanto famoso agere sequitur esse aristotelico-tomista che affermava la precedenza e l’eccedenza dell’ontologia, cioè l’essere, sulla deontologia, ossia l’agire). Né entriamo, poi, nel merito dei “cambiamenti” successivi introdotti dall’Illuminismo, dall’idealismo o dal marxismo ottocenteschi.
In sintesi dobbiamo riconoscere che esiste una inter-cessione tra i “cambiamenti d’epoca” e le “epoche di cambiamenti”. Papa Francesco, quindi, ha ragione nel definire l’età in cui siamo coinvolti come un «cambiamento d’epoca», anche se non ne abbiamo ancora trovato la denominazione. La definizione di postmodernità, pur avendo conquistato un certo successo attraverso i saggi di Jean François Lyotard (La condizione postmoderna del 1979 e Moralità postmoderne del 1993), è ormai un po’ desueta, tant’è vero che si è ricorsi persino alla susseguente “post-postmodernità”. Forse aveva ragione Adorno quando affermava che «la modernità è una categoria qualitativa, non meramente cronologica».
Sta di fatto che il legame tra “cambiamenti” specifici e “cambiamento” globale ed epocale è verificabile pure ai nostri giorni. Anche in questo caso ricorriamo solo a qualche esempio di mutamenti di paradigmi particolari che hanno indotto un mutamento sostanziale generale. Pensiamo a una categoria capitale com’è quella di “natura umana”, destinata a individuare l’identità strutturale della persona. Per secoli vigeva un comune accordo di base che generava anche un’etica fondamentale condivisa. Ora, l’atmosfera, già segnalata da Max Weber, del «politeismo dei valori» rende tutto molto più fluido, a partire dallo stesso concetto di gender sessuale, come è ben noto.
È evidente che questa specifica evoluzione dall’essenzialismo naturale al costruzionismo socio-culturale genera un cambiamento non solo dell’approccio sessuale ma una trasformazione antropologico-culturale globale. Siamo di fronte a una prospettiva settoriale che, però, spinge – per ora soltanto a livello confuso ma attrattivo – alle teorie del trans/postumanesimo che segnerebbero indubbiamente un cambiamento d’epoca. A questo fenomeno un contributo rilevante è offerto dalla scienza. Anche in questo ambito i mutamenti sono, a prima vista, circoscritti: citiamo solo la trilogia principale costituita dalla genetica con la manipolazione del Dna, dalle neuroscienze col loro intervento sulla questione cervello-mente, e infine dal grande capitolo dell’intelligenza artificiale e la relativa produzione di macchine sempre più autonome e dotate persino di autocoscienza.
L’orizzonte è affascinante e produce esiti rilevanti a livello medico-terapeutico, sociale, economico, culturale. Ma le interrogazioni etiche che germogliano sono altrettanto importanti ed esigono considerazioni di indole filosofico-teologica. È proprio in questo incrocio tra scienza e morale che nuove avventure tecnico-scientifiche danno il via a un «cambiamento d’epoca», a un diverso umanesimo rispetto a quello finora codificato. Analisi apparentemente circoscritte alla scena esteriore dei fenomeni concreti conducono a mutamenti dei fondamenti e, quindi, all’introduzione di una nuova era, grandiosa ma anche rischiosa, dai contorni luminosi e oscuri al tempo stesso.
Un ultimo esempio che desideriamo proporre a sostegno del vincolo tra “cambiamenti” specifici e “cambiamento generale” è quello che concerne la cosiddetta “infosfera”. Uno dei maggiori studiosi di questa nuova cultura digitale, Luciano Floridi, docente a Oxford, ha intitolato un suo saggio Quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (Cortina, 2017). A un primo sguardo questa tipologia comunicativa potrebbe rivelare solo una connotazione tecnica che si manifesta sempre più sofisticata. Si modifica, così la modalità del dialogo e dell’incontro, secondo percorsi sempre più sorprendenti. Siamo, quindi, in presenza di una radicale evoluzione dell’atto umano primario della relazione con l’altro.
Ma questo cambiamento sta generando appunto una “rivoluzione” epocale. Siamo non più in presenza di una semplice estensione delle tecniche comunicative ma siamo di fronte al mutamento di atmosfera che tutti respiriamo. Significativo al riguardo è l’apparire di un nuovo fenotipo antropologico, quello dei cosiddetti “nativi digitali”, ma anche di un’epoca in cui l’accelerazione, la libertà espressiva senza limiti, gli eccessi di violenza verbale e di falsificazione, la moltiplicazione dei dati originano un modello globale inedito.
Concludendo, ribadiamo che siamo coinvolti – come afferma papa Francesco – in un «cambiamento d’epoca» alla quale non abbiamo assegnato ancora un titolo univoco. Questo evento epocale si compie attraverso superamenti o metamorfosi di paradigmi settoriali che si muovono nei loro orizzonti ristretti (non per nulla il verbo “cambiare” deriva dal greco kámptein che indica l’atto del “curvare” per superare un limite o un ostacolo). Alla fine, però, è l’orizzonte universale comune ad acquistare un nuovo volto. E il papa ribadisce, attraverso l’analisi di questa nuova atmosfera sociale, culturale, spirituale, il realismo della critica ma anche l’ottimismo dell’impegno. Le sfide particolari sono forti e persino rischiose, ma proprio per questo esigono fiducia e coraggio, nella consapevolezza che siamo partecipi e non solo spettatori di un «cambiamento d’epoca».