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Chi è il Dio degli eserciti

​Cristiana Maria Dobner

Il nostro immaginario – schemi di pensiero abituali, categorie accumulate ai tempi dello studio o createsi a contatto con il quotidiano – sussulta quando, durante la liturgia della parola, sente proclamare “Santo Santo Santo, il Signore Dio degli eserciti”. Soprattutto oggi quando nella nostra cultura l’immaginario si palesa nella sua sensibilità e complessità e ci si trova a un confine fra realtà e immaginazione che costruisce e decostruisce l’identità, con prodotti culturali incombenti che orientano o depistano insieme a tutti i modelli stereotipati condizionanti.
L’immaginario corre il grave pericolo di sfuggire al pensiero chiaro e distinto? Frantuma Cartesio e le sue ragioni, sufficienti per fare chiarezza nella nostra mente e nel nostro vivere? Dove collocare il razionale? Dove collocare il pensiero riflessivo e speculativo?
La Parola rivelata ci indica un’altra strada: tentare di porsi in ascolto della teofania di Isaia e di cogliere il messaggio dei Serafini, gli angeli più vicini al trono, dotati di ali e arsi dall’amore per Dio, che cantano incessantemente la preghiera di santificazione. Significa lasciarsi permeare e avvolgere da una laus perennis a lui rivolta e comprendere che tutto l’universo si regge su questo canto innalzato a Jhwh.
Dall’antica civiltà di Ugarit apprendiamo che El, terribile e inavvicinabile, vive nella sua dimora inaccessibile e lontana dagli umani con cui comunica attraverso i suoi angeli. Il dio degli eserciti era il dio nazionale che combatteva i nemici, e ogni popolo aveva il suo dio. Nella civiltà semita, avanzando la concezione monoteista, El diventa Dio di tutto l’universo: «Co­sì furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere» (Gen 2,1).
Per Israele il santo è Jhwh e viene chiamato Qadosh. L’etimo di qadosh incuriosisce perché alcuni lo riferiscono alla parola “separato”, vale a dire separato dal profano, altri studiosi o altre tradizioni lo riportano a una radice accadica che ci parla di “luce luminosa” e di “brillìo”.
Se però ben si osserva, le due tradizioni confluiscono nel kabod, nella gloria con tutta la luminosità che emana. Jhwh quindi è sublime e ardente. Perché Qadosh rimanda a un etimo specifico: yekod esh, cioè fiamma di fuoco. Jhwh quindi brucia, arde, perciò è inavvicinabile. Tuttavia, Egli stesso ci ha insegnato come chiamarlo: Av Rahman, Padre Misericordioso. Nel­l’islam Ar-Rahman, il Misericordioso, è uno dei novantanove nomi di Dio.
Jhwh, quando elegge Israele come suo popolo, santifica se stesso perché rende palese la sua potenza. Egli è il Qedosh Israel in mezzo ai figli eletti che diventano santi perché da Lui scelti e consacrati. Infatti Egli a Moshé disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo». Se Egli è il Santo, tutta la collettività deve impegnarsi a diventarlo, anche se il Qedosh Israel rimane l’Unico e l’inimitabile, l’intrinsecamente santo.
Si apre una grande sfida che l’umanità, in libertà, può accettare: slanciarsi in una tensione alla sacralità che conduce alcuni a separarsi dal mondo e impegnarsi in una vita orante, ascetica, e altri a impegnarsi a costruire la pace e a evitare l’insorgere delle guerre, degli stermini, delle rivalità.
Sebaoth, da un punto di vista semantico, significa esercito o schiere, quindi “Jhwh Sebaoth” è il Dio delle schiere, cioè Colui che domina le guerre oppure le schiere celesti, le galassie. Qual è il suo esercito? Non certamente i carri cingolati, le file serrate di uomini armati fino ai denti pronti all’attacco e ad assalire gli inermi. Il suo esercito è strano e anomalo, formato da Cherubini, Serafini, sole e luna, stelle e cielo, fiumi e montagne, uomini e donne, animali feroci e animali domestici.
Tutta la creazione intera serve i disegni di Jhwh e la sua relazione di alleanza con Israele e tutti i popoli della terra. Infatti Sebaoth è un plurale che indica un esercito ma di angeli, di esseri celesti. Il Signore comanda in cielo e in terra. E ci si rivolge a Lui nel pericolo perché Egli è fedele al suo popolo: Jhwh fa grazia, perdona, cura e guarisce, evoca compassione piuttosto che il dio guerriero, perché Egli è fiamma di fuoco, Egli arde. Ci viene data l’opportunità gioiosa della metamorfosi: il nostro immaginario diventa incandescente.