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Conservazione e restauro tra storia e modernità

​David Palterer

Le pratiche di conservazione e restauro del patrimonio storico architettonico si fondano sulla convinzione di doverlo sottrarre all’erosione del tempo e all’usura. Il problema è che questo spesso si risolve in un’azione di musealizzazione che di fatto congela l’oggetto in uno status quo, e implica di dover rielaborare in nozioni culturali le ragioni originarie che hanno condotto alla sua realizzazione. Pertanto la musealizzazione si incardina su un ampio intreccio di questioni funzionali, processi d’uso, selezione dei materiali, che devono tener conto anche degli aspetti culturali e religiosi, nonché dei riflessi psicologici e della capacità comunicativa del bene in questione. Tutto questo è riassunto dal termine inglese legacy, che esprime un concetto più ampio di quello dato dalla traduzione letterale di eredità o lascito. E tale significato è ancora in evoluzione, poiché oggi è cambiata la fruizione dei musei, che sono sempre più investiti di ruoli nuovi di produzione culturale e inclusività sociale.
Il primo atto che ha manifestato consapevolezza del valore storico-culturale intrinseco di un bene è la bolla Cum almam nostram Urbem del 1462, con cui papa Pio II Piccolomini imponeva la protezione dei monumenti. Ma solo nel 1793 la Convenzione Nazionale francese stilò il primo compendio che racchiude i princìpi fondanti del restauro, nel senso moderno del termine. Le teorie di Viollet-le-Duc che ne seguirono erano impregnate di revival stilistico e inizialmente ebbero una straordinaria fortuna, ma furono superate da chi, come William Morris, riteneva che la ricostruzione e le integrazioni in stile da esse sostenute trasgredissero il concetto stesso di restauro. La prima legislazione su questo tema nella nostra penisola fu redatta nel 1802 dal cardinale Doria Pamphilj, ma rimaneva circoscritta all’ambito delle antichità e delle belle arti. Lo sviluppo teorico che lo riposiziona quale disciplina scientifica si delinea solo con la Carta del restauro di Atene del 1931. L’Europa allora si trovava ad affrontare il problema di un immenso patrimonio danneggiato dalla Grande Guerra, al punto da compromettere l’identità stessa dei luoghi: quel documento sancisce l’idea di una condivisione sovranazionale, delimita criteri generali e definisce un percorso di azione. Questi stessi temi sono stati dibattuti nel “II Congresso Internazionale di architetti e tecnici dei monumenti storici” svoltosi a Venezia nel 1964, nel quale fu redatta la Carta che porta il nome della città lagunare; vi sono definite le migliori pratiche, le questioni afferenti all’autenticità di un oggetto, e sopratutto si afferma il principio che il patrimonio monumentale è comune, ed è responsabilità dell’umanità intera tutelarlo e trasmetterlo. Questo implica due concetti – la conservazione dell’esistente e la sua valorizzazione – che in Italia trovano un terreno particolarmente fertile. Il nostro Paese è stato sempre presente ai congressi internazionali, con figure autorevoli quali Gustavo Giovannoni, Roberto Pane, Piero Gazzola, Cesare Brandi e molti altri, e ha acquisito un primatum che si è riversato sulla realtà quotidiana, tanto che nel nostro territorio la cultura del restauro e della conservazione è capillarmente diffusa.
E una peculiarità tutta italiana è la collaborazione, benché non sempre facile, tra architetti, archeologi, storici dell’arte, tecnici del restauro, maestranze, imprese e fornitori specializzati: una lunga lista che rispecchia la straordinaria complessità della materia. Un chiaro esempio di questa interazione è il nuovo itinerario archeologico sotto Palazzo Medici Riccardi a Firenze. La Città metropolitana, la cui sede si trova nell’edificio, nato come dimora rinascimentale, a seguito di scoperte fortuite emerse durante lavori di ordinaria manutenzione ha avviato una campagna di scavi che ha portato alla luce frammenti inediti di storia della città, dalla preistoria fino ai giorni nostri. Il recupero degli spazi ha permesso di avviare una ricerca e organizzare una giornata di studi sul tema “Interni con Architettura”. Il tutto mirato a realizzare un percorso archeologico innovativo. Perché i presupposti del restauro contemporaneo non possono prescindere da ricerca, analisi, progetto e documentazione del processo, se vogliamo diffondere e non disperdere le tracce lasciate dal cammino della nostra civiltà.