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Dialogo la sola strada verso una meta difficile

​Andrea Riccardi

Parlare di pace è difficile oggi. In varie parti del mondo la realtà è la guerra con la sua logica stringente, fatta di azioni militari, attacchi e risposte, ma anche della demonizzazione dell’avversario. Lo vediamo in Ucraina, attaccata e invasa dai russi. Questa guerra è divenuta anche un confronto tra Russia, Europa, Stati Uniti, mentre gran parte del mondo assiste neutrale o distaccato. Tante città sono state gravemente bombardate dai russi; soldati russi e ucraini sono caduti in battaglia. Le azioni militari si sono intensificate. Intanto una parte della popolazione ucraina (circa dieci milioni) ha abbandonato il paese, rifugiandosi in nazioni europee ospitali, come la Polonia, la Germania, l’Italia e altre. L’Ucraina ha perso più di un quinto della sua gente.
La guerra, però, non è solo in Ucraina. Riprendo il triste elenco di paesi coinvolti in quella che papa Francesco chiama «la Terza guerra mondiale a pezzi». C’è la Siria, dove il conflitto dura da più di dieci anni: quale prospettiva di pace per questa terra, i cui cittadini in parte se ne vanno randagi per il mondo? Poi c’è la dimenticata guerra nello Yemen con le sue tragedie umanitarie. Poco lontano l’Etiopia ribolle: il Tigrai assediato è in preda a una gravissima crisi umanitaria. Questo rosario di dolori comprende anche la Somalia e il Nord del Mozambico, dove imperversa una guerriglia jihadista che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga.
La pace, tuttavia, non può essere considerata impossibile. Innanzi tutto, per i dolori dei tanti che subiscono i conflitti. Nel mondo globale, poi, le guerre si contagiano con facilità. Il mondo globale, fatto per essere uno – vorrei dire – non tollera le guerre. Eppure, ne produce tante.
L’incontro interreligioso nello spirito di Assisi, tenutosi a Roma per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio tra il 23 e il 25 ottobre 2022, ha raccolto il “grido della pace”. Quel grido soffocato in tante parti del mondo dalle guerre, dalle propagande aggressive e dall’inerzia o la complicità dei leader politici, è stato accolto da tanti credenti. Alla fine della preghiera delle varie religioni davanti al Colosseo, papa Francesco ha detto: «Rimettiamo la pace al cuore della visione del futuro, come obiettivo centrale del nostro agire personale, sociale e politico, a tutti i livelli. Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo».
Il dolore di milioni di esseri umani impone la ricerca della pace. Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto al meeting di Roma: «La pace è impura, profondamente, ontologicamente, perché accetta una serie di instabilità, di scomodità, che rendono però possibile questa coesistenza tra me e l’altro». Tuttavia, se la pace è “impura”, non è impossibile, come talvolta si teorizza o spesso si accetta passivamente. La pace è possibile, anche se la via per raggiungerla talvolta è molto difficile. Non bisogna mai rinunciare a cercare vie di dialogo.
L’incontro di Roma coincideva quasi con il trentennale della pace conclusa tra i due belligeranti (guerriglia e governo marxista) in Mozambico, cui si è arrivati dopo un lungo negoziato a Sant’Egidio. Il popolo mozambicano era ostaggio di una guerra civile senza quartiere, che ha fatto un milione di morti e oltre quattro milioni di profughi. La gente aveva paura, perché nessun luogo era più sicuro; aveva fame, tanta fame… Il processo di pace è stato lungo: grande era la distanza tra la guerriglia antimarxista e il governo, che sembravano su posizioni inconciliabili. I negoziati a Roma sono stati una scuola di dialogo, in cui i mediatori (Matteo Zuppi, Mario Raffaelli, il vescovo mozambicano Jaime Gon­çalves e io stesso) hanno operato per cercare quel che univa e mettere da parte quel che divideva. È un metodo, fatto proprio dalla mediazione, che ha aiutato a trovare una piattaforma comune.
La notizia della pace è stata accolta dai mozambicani come una “benedizione”. La gente era spossata da una guerra senza fine. È significativo che, con la fine del conflitto, non ci sia stato quello strascico di vendette che spesso accompagna queste situazioni. La lezione del Mozambico è che la pace è possibile, anche in contesti intricati e di grande violenza. Ogni conflitto è diverso dall’altro, ma la pace resta sempre la via verso il futuro.