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Donne di fede e quindi di cultura

​Jacques Servais

Se c’è una cosa che possiamo imparare dalle sante che, negli ultimi decenni, la Chiesa ha dichiarato Dottori, è che il titolo non qualifica solo delle eminenti competenze nelle “scienze” teologiche. Queste donne - Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux - non erano particolarmente istruite. Hanno ricevuto la fede nell’ambiente dove sono cresciute, attraverso i sacramenti, la liturgia, e di sicuro questa fede si è sviluppata grazie a un insegnamento accurato della dottrina cristiana. Quel titolo che i Dottori hanno acquistato per i monumenti di sacra dottrina esse lo hanno però ricevuto senza il merito di una educazione scolastica, ma per una saggezza procurata anzitutto dal­l’unzione divina. Si sono lasciate vincere da Cristo, magari “trafiggere dai suoi lampi e frecce”, e così sono pienamente “rinate dall’acqua e dallo Spirito”. Si sono aperte alla Rivelazione nella sua interezza, compresa quindi l’esperienza d’Israele, hanno perseverato nell’ascolto della Parola di Dio come una chiamata rivolta a loro personalmente, e ne hanno accolto il mistero, non per professarlo con le labbra, né per procurarsene una comprensione solo intellettuale, ma per nutrirsene e lasciarsi trasformare da esso. Se la Chiesa le ha dichiarate Dottori, è perché ha notato che, come i galilei incolti nel giorno della Pentecoste, lo Spirito di Cristo le aveva ispirate con un linguaggio che potevano capire e far proprio per gli uomini nelle loro diverse culture e lingue. È perché ha visto che la saggezza che emanava dal loro insegnamento era spiccatamente gustosa per il palato dei “semplici” e dei “piccoli” e così arrivava a confini che la cerchia dei grandi teologi non raggiungeva così immediatamente.
Ora, il loro essere “Dottoresse” non dipende solo dal loro insegnamento ma anche dalla fecondità culturale del loro carisma. Intendiamo qui la parola “cultura” nel senso in cui, nel Medioevo, si parlava di humanitas, di civitas, ossia dell’opera di un artifex, di un uomo o una donna che incarna con la sua docta pietas un’idea, che concepisce un essere che la natura non fornisce e che dà vita a una creazione non subordinata a scopi pratici, ma a un modo bello di vivere, di agire, a retti costumi, magari anche a realizzazioni artistiche improntate da spiritualità. Nel caso di queste donne, l’opera non era direttamente ad civitatis utilitatem, era fin da principio ordinata a fini trascendenti, religiosi, mistici, anzi ad majorem Dei gloriam. Studiando la storia della loro missione e seguendone le tracce lungo i decenni o secoli successivi, si scorge che il carisma dato loro dall’alto ha generato una cultura cristiana ben delineata che si dimostra ad esempio nel campo della musica, della pittura, dell’architettura, o anche, nel caso di Teresa di Lisieux, nel­l’ambito letterario (pensiamo ad alcuni poeti e romanzieri francesi del secolo scorso come Péguy o Bernanos).
In un mondo in cui Dio scompare sempre più dalla coscienza pubblica, in una società contrassegnata da una mentalità secolarizzata in cui la Chiesa viene più e più vista come una istituzione fra tante altre, queste figure che non fanno parte della sua struttura gerarchica assumono un ruolo di primo piano. Cosa possiamo imparare da loro? Certo, che la fede senza le opere è morta, ma che rimane viva in chi le compie se sono quelle «che Dio ha preparato in anticipo per noi perché ci impegnassimo in esse» (Ef 2,10). Ora, conformemente alla femminilità che le distingue, le “Dottoresse” hanno sperimentato tale impegno come il concepimento nel dolore, come la nascita e la faticosa educazione di una progenie ricevuta nel­l’azione di grazie e ridata da subito al Signore. In loro vediamo come il Cristianesimo veramente vissuto è allo stesso tempo un vero umanesimo, l’espressione di una bella umanità che ciascuno può accertare e, se non è del tutto deformato, riconoscere anche come tale. Se vogliamo parlare qui di “inculturazione”, è nel senso di una cultura sorta da una fede amorosa nella figura centrale della Rivelazione dell’antica e nuova Alleanza, il Verbo incarnato che è venuto e torna sempre di nuovo a rivelare l’uomo a se stesso. Queste donne d’eccezione sono la dimostrazione che la forza della Parola, penetrante, unificante e crescente in noi, produce il proprio frutto, sempre nuovo, anche culturale, come la risposta sorprendente alle attese più segrete del mondo.