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Guardare il firmamento, scoprire l’Infinito

​Maria Cristiana Dobner


Quando con Margherita Hack all’osservatorio astronomico mi lasciavo condurre sulle vie delle stelle rimanevo affascinata e stupita dinnanzi all’intelligenza umana, ricca e innervata dalla ricerca secolare che, da scienziato a scienziato, giungeva fino a me. Echi che rimbalzavano. Incollata al telescopio tentavo di capire, di afferrare.
Fotoni, raggi gamma, supernovae, precessioni degli equinozi, zodiaci e astrologia insieme con tutta la mitologia che riaffiorava. La volta del cielo magnetizza, preme per entrare in dialogo con noi.
Viaggio che non conosceva confini: la storia e i suoi secoli mi precedevano da millenni, mentre il futuro dove mi conduceva? Qual era la mia meta? Eppure, i confini si stagliavano sulla nostra crosta terrestre. Non poteva tutto ridursi a una fantastica conoscenza scientifica, galassie, buchi neri, stelle di neutroni…
La Bellezza era più soffusa ma, insieme, più imperativa.
D’un canto la scienza, ancorata alla ragione, alla dimostrazione rigorosa, al vivere con i piedi ben saldi a terra pur con lo sguardo rivolto all’alto. A un infinito che però già mostrava e porgeva i suoi contorni di finito: lo spettro magnetico, la Grande Nube di Magellano, le nebulose platenarie…
Gli artisti e pensatori medievali, con la fioritura del loro immaginario osservavano il volgere delle stelle, disegnavano lo Zodiaco, ma il rimando stava altrove: nel mondo della Bibbia. Oggi, scardinato ogni riferimento biblico, i simboli decadono nella povertà degli oroscopi veicolando superstizioni.
Dove stava l’infinito? Il grappolo di interrogativi urgeva e si scavava un percorso carsico inflessibile, che non demordeva, pur nel suo silente scorrere. Chi era l’Infinito? «Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature» (Sant’Agostino, Confessioni, X, 27). Agostino e sua madre discorrono e il loro sguardo fora quanto li circonda: «In un impeto più appassionato ci sollevammo verso l’Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro – la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre» (Confessioni, IX, 24).
Anche una bimba francese, Teresa Martin, sperimentò dentro di sé questa Bellezza e volse lo sguardo in alto durante una passeggiata con il padre: «Guardavo le stelle che scintillavano dolcemente, e quella vista mi rapiva. Soprattutto un grappolo di perle d’oro che distinguevo con gioia, mi pareva che avesse la forma di una T, lo facevo vedere a papà e gli dicevo che il nome mio era scritto in cielo, e poi, non volendo più scorgere nulla della brutta terra, gli chiedevo che mi conducesse; allora, senza guardare dove mettevo i piedi, abbandonavo il viso proprio verso l’alto, senza stancarmi di contemplare il firmamento» (Santa  Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, II, 62).
Quindi non solo i segni dello Zodiaco, del mio Zodiaco in particolare, ma il mio nome scritto lassù, come afferma il Vangelo, proprio in quell’Infinito che è il pulsare del Cuore di Dio.
Adolescente, Teresa di Gesù Bambino contempla la sera che avanza: «Lo sguardo abbandonato alle lontananze, contemplavamo la luna bianca che si alzava lenta dai grandi alberi... i riflessi argentei che diffondeva sulla natura addormentata... le stelle che scintillavano nell’azzurro profondo, il soffio lieve della brezza nella tarda sera faceva fluttuare le nuvole nevose, tutto elevava le anime nostre verso il Cielo, il Cielo bello del quale ancora non vedevamo se non il “rovescio limpido”» (Storia di un’anima, V, 139).
Noi vivi, in attesa di diventare viventi, abitanti questo “rovescio limpido”, impariamo ad abbandonarci oltre… al diritto splendente, alla Bellezza.