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Il fascino irresistibile di Maria a Loreto la cultura trova Casa

​Vito Punzi

Che cosa rende un artista contemporaneo come Tullio Pericoli così indissolubilmente legato alla terra che gli ha dato i natali e l’ha visto crescere, le Marche? La risposta è nei paesaggi da lui disegnati e dipinti. La sua è natura senza case, cioè senza l’uomo, irreale e immaginifica, eppure da qualcuno sezionata, alla pari di un puzzle di terreni, ciascuno dei quali destinato a specifica coltivazione. Così dovevano apparire fino a un paio di secoli fa le colline a ridosso della costa adriatica occidentale, da Pesaro in giù, a chi sceglieva il mare per viaggiare più velocemente e in maggiore sicurezza, magari alla ricerca dell’attracco più comodo per proseguire poi via terra verso Roma, percorrendo la Flaminia da Fano, la Lauretana da Ancona o la Salaria da Porto d’Ascoli.
Se la terra marchigiana immaginifica di Pericoli è senza l’uomo, non è tanto per orrore verso la civiltà, per artefatta aspirazione a una natura idilliaca incontaminata, quanto perché terra seminata in attesa. I suoi paesaggi non sono privi dell’uomo, semplicemente lo attendono. In qualche modo lo annunciano. Senza volerlo, forse, Pericoli offre una risposta al perché le pietre che hanno ascoltato l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria scelsero di posarsi su di un colle marchigiano.
Immaginiamolo come un infinito “libro degli ospiti”, nel quale chiunque sia giunto a Loreto in oltre sette secoli di storia, mosso da fede cristiana, da curiosità, da malattia o da scetticismo, abbia lasciato, accanto alla firma, una preghiera, un’invocazione, un ringraziamento. Un libro riservato anche a chi, non sapendo scrivere, ha affidato alle pareti della casa nazaretana di Maria la propria voce: chi entra nella Santa Casa oggi, se allenato all’ascolto, può lasciarsi pervadere dall’eco del canto che trasuda dalle pietre della Palestina, un canto antico e sempre nuovo. Nel “libro degli ospiti” di Loreto c’è in qualche modo traccia di tutti, poveri e ricchi, umili e potenti, sani e malati, ignoranti e colti. Di questi ultimi evocheremo di seguito alcuni nomi, attraverso un percorso a ritroso e circolare.
Lo scrittore cattolico tedesco Martin Mosebach è già stato più volte pellegrino a Loreto: lì «si sperimenta in maniera particolarmente intensa la concretezza del messaggio cristiano [...] Il racconto della visita dell’angelo a Maria potrebbe possedere dei tratti mitici e questi tratti sono presenti probabilmente anche nell’idea che noi ce ne facciamo, ma a questo si contrappongono le pietre della Santa Casa, che è stato dimostrato provenire dalla Palestina. Quelle pietre sono per noi in qualche modo eco delle parole dell’angelo e di Maria».
Il 4 ottobre 1962 Dino Buzzati venne inviato dal “Corriere della Sera” a Loreto per seguire la visita di san Giovanni XXIII, la prima di un papa lontano da Roma dopo l’unità d’Italia. Il pontefice intendeva affidare alla Vergine Lauretana il Concilio che sarebbe iniziato da lì a poco e Buzzati, un po’ come Mosebach, colse in maniera inequivocabile il valore dei “muri” della Santa Casa, trasudanti «attraverso lo smalto lucido di patine e di fumo meravigliose, soavi o disperate storie in una fosca penombra da cripta, brulicante di ombre al tremolio delle fiammelle».
Poco più di un anno prima si era recato nella Santa Casa il poeta americano Ezra Pound, una sosta di cui si sa poco, perché documentata solo dalle parole di chi l’accompagnò, Tullio Colsalvatico: «Fu per lui una grande sorpresa, ha toccato, accarezzato - dopo avervi sostato a lungo meditando - la Casa di Nazaret».
La musica accompagna da sempre la vita del Santuario. La Cappella Musicale di Loreto, istituita nel 1507 da papa Giulio II, nei secoli ha attratto a ridosso delle pareti della Santa Casa geni come Lorenzo Perosi, Johannes Brahms, Franz Liszt. Wolfgang Amadeus Mozart vi giunse nel 1770 da quattordicenne accompagnato dal padre Leopold: nella chiesa di Santa Maria gli fu permesso di improvvisare all’organo. Un anno dopo avrebbe musicato una prima volta le Litanie lauretane.
Accolta forse a malincuore da chi considera inconciliabili fede e ragione, fu invece straordinariamente umana la scelta fatta dal filosofo Cartesio che, dopo il voto fatto il 10 novembre 1619, visitò da pellegrino la Santa Casa per chiedere alla Vergine di aiutarlo a sciogliere i dubbi che assillavano la sua riflessione filosofica.
Torniamo a Mosebach per arrivare a Lorenzo Lotto, che l’8 settembre 1554, festa della Natività di Maria, si fece oblato della Santa Casa di Loreto, dando così un senso compiuto al suo pellegrinare tra Venezia, Treviso, la Marca pontificia e Bergamo. Altro che “ritiro in convento” o “fallimento”: diventando il “pittore della Santa Casa” entrò a servizio del papa. Mosebach così descrive Lotto: «Si tratta di un pittore genuinamente religioso e questo suo tratto lo rende superiore a Tiziano e Veronese, suoi grandi contemporanei. Egli ha preso sul serio la sua fede rendendola una compiuta forma di vita. Agendo in questo modo, si può dire che ha vissuto all’incirca secondo il modello del pittore di icone, modello caratteristico della tradizione cristiana orientale».