Luoghi dell' Infinito > Editoriali > La gioia dell’Annuncio secondo El Greco

La gioia dell’Annuncio secondo El Greco

​Laura Bosio

La giovane donna che compare nell’Annunciazione dipinta da El Greco - con­servata nel Museo Thyssen-Borne­mi­sza di Madrid e in mostra a Milano a Palazzo Reale fino all’11 febbraio 2024 - si stacca dal leggio e protende in avanti le mani. Il lungo angelo dalla veste verde, le ali conficcate sul dorso come spine, tiene le braccia conserte, come se per primo avesse già risposto “sì” al misterioso, inaudito annuncio che lui stesso ha portato. Come se a quella donna che gli sta di fronte, l’abito rosso carminio sotto il mantello blu dai risvolti d’argento, destinata a portare i cieli nel grembo, dovesse un rispetto, una comprensione, un ringraziamento in tutto nuovi. Intorno, un vortice di putti si insinua festante nella scena, mentre in alto un’orchestra di angeli musicanti, appoggiata su nuvole solide come pietra, intona un concerto solennemente allegro. Nella vita semplice e silenziosa di quella giovane donna, in un villaggio senza fama della Galilea, ha fatto irruzione l’impossibile, il frastuono è immenso, ma lei, superata l’iniziale paura, rassicura il fragoroso consesso dicendo con i gesti e con la voce ferma: «Ho capito, così sia». Ai suoi piedi, brucia il roveto che ne testimonia la purezza. In un cesto è ripiegato il velo del tempio che sta tessendo con fili di porpora e di scarlatto. Tessere è meditare.
La pennellata libera e concitata di El Greco, unendo la ieraticità bizantina e la drammaticità delle luci scoperte a Venezia, contribuisce a rendere unico l’istante in cui il figlio di Dio è venuto a mescolarsi a noi, nell’oscurità del mondo.
Per tutta la sua vita terrena quella giovane donna ha osservato in disparte la nascita del prodigio da lei partorito. Non le importava penetrare il mistero, voleva riscoprire il bagliore originario e approdare al regno evocato dall’angelo. Affinare il suo spirito, realizzare la sua perfezione, essere la grazia che in quel giorno turbinoso di Nazaret le era stata donata.
“Rallegrati” l’aveva salutata l’angelo, e al suo nome aveva aggiunto “piena di grazia”. Non un privilegio: una grazia, la gratuità dell’amore. “Avvenga ciò che dici” aveva risposto. Perché avverrà, deve essersi detta a sua volta in quel momento, esisterà se comincerò da me, se farò posto in me, nel mio corpo come nei miei pensieri. Senza aspettare che siano altri a iniziare. Senza disimpegnarmi se altri non si impegnano. Il mondo si muove se noi ci muoviamo, cambia se noi cambiamo, si fa nuovo se ci rinnoviamo, si imbarbarisce se agitiamo il buio in noi.
Stiamo per subire un Natale di guerra. Nel mondo si è brutalmente divisi, la violenza imperversa, la diplomazia arranca. Difficile anche solo pronunciarla, la parola pace, che pure invochiamo, gridiamo. Ma può capitare di trovarsi davanti a un’Annunciazione e di tornare a vedere in modo potente quale sia la strada da seguire, quella che va nella direzione di uno scambio e non del possesso. Come il figlio può nascere soltanto dopo il “sì” della madre, così la salvezza forse è possibile grazie a quella stessa breve e decisa parola. Parola amorosa, parola rivoluzionaria, che porta all’alleanza tra gli esseri umani, tra i popoli della terra, tra l’eterno e il secolare, aprendo un’epoca nuova.
Nel suo Magnificat Fernando Pessoa si domanda:
Quando passerà questa notte interna,
    l’universo,
e io, l’anima mia, avrò il mio giorno?
Quando mi desterò dall’essere desto?
Non so. Il sole brilla alto:
impossibile guardarlo. [...]
Quando finirà questo dramma
senza teatro,
o questo teatro senza dramma,
e potrò tornare a casa?
Dove? Come? Quando?
Gatto che mi fissi con occhi di vita,
chi hai là in fondo?
Sì, sì, è lui!
Lui, come Giosuè, farà fermare il sole
    e io mi sveglierò;
e allora sarà giorno.
Sorridi nel sonno, anima mia!
Sorridi, anima mia: sarà giorno!