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La nebbia del mondo e la luce dei fanciulli

​Giovanni Gazzaneo

I bambini non conoscono la nebbia. La nebbia che ci portiamo dentro. La nebbia che soffoca il cuore e nega lo sguardo, che svuota l’anima e confonde il pensiero. I bambini non si stancano di cercare. Non smettono di sperare. Hanno lo sguardo limpido del cielo, vasto e profondo come l’oceano. La realtà è scoperta e meraviglia. L’avventura è il modo di stare al mondo. Il gioco è festa quotidiana di libertà. La loro luce illumina da dentro. La fiducia è il segreto della loro energia. La bellezza è corpo, gesto, sguardo.
Nessuna visione mitica del bambino come essere naturalmente buono e perfetto. Siamo stati bambini, prima che padri e madri, e sappiamo dei nostri ego­ismi, dei capricci, dell’agire istintivo. Peccati che hanno segnato la nostra vita, quella dei nostri figli e di coloro che verranno. Ma i bambini sono piccoli, indifesi, bisognosi di tutto, eppure sempre aperti alla vita, alle cose, agli altri: porte e finestre spalancate nel loro mondo senza muri. Sono semplici creature. E quell’essere creatura, quell’essere figlio gli basta perché il bimbo è felice di esserlo e non chiede altro, in quel legame di libertà che è amare ed essere amato.
Nessuna delle religioni, prima e dopo Cristo, chiede di diventare bambini per amare Dio, per conoscerlo, per vivere con Lui per sempre: «Se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli» (Mt 18,3). Solo Gesù indica questa strada. La salvezza passa attraverso i bambini per la loro fiducia totale, che è consegna della propria vita nelle mani, nel cuore e nella mente della madre e del padre. La salvezza passa per quell’attesa piena di speranza che segna il tempo della crescita dei nostri primi anni, e non c’è ombra capace di soffocarla. La salvezza passa attraverso i bambini per il loro sguardo pieno di stupore e di meraviglia rispetto a se stessi e agli altri e al mondo. Nulla è scontato: il volto amato, una foglia nel vento, l’onda del mare. La salvezza passa attraverso la sete di conoscenza dei bambini che nulla ha a che fare con la sete di possesso. È la curiosità fatta di domande, a partire da quella decisiva: la domanda di bene, di bello e di vero che è l’impronta del Creatore nelle nostre anime. La salvezza passa attraverso la libertà dei bambini, che è lo spazio e il tempo del gioco, la possibilità di creare mondi fantastici in cui ritrovano se stessi e gli altri. Certo, la vita non è gioco, ma nel tempo che ci è dato siamo chiamati a mettere in gioco noi stessi perché i talenti non restino sepolti (e noi con loro).
Eppure «se non ritornerete come bambini...» è un invito che suscitava e continua a suscitare scandalo. È lo scandalo che segna il destino di Adamo ed Eva e di molti di noi, ingannati dalla voce suadente che risuona nell’Eden e in ogni momento della storia: «Diventerete come Dio». L’aver colto il frutto proibito è il rifiuto di riconoscere quel che si è, accecati dall’orgoglio e dal desiderio di diventare altro. La creatura, che è sempre figlia, vuol ergersi a Creatore. L’infinitamente piccolo vuol farsi infinitamente grande. La fragilità e il limite scimmiottano l’onnipotenza. Il peccato originale è il rifiuto del dono più grande: il nostro essere figli. E non di un padre qualsiasi, ma del Signore del cielo e della terra. E allora ecco l’impensabile: Dio stesso si fa figlio. Nel seno di Maria vive la meravigliosa avventura di piccola cellula che si fa embrione e poi feto e neonato: uomo e Dio fin dal suo minuscolo incipit. Il senza principio si fa tempo, il senza fine si fa corpo. Un inno mariano canta tutto questo: «E tieni chiuso nel tuo sacro grembo / il Dio immenso che distende i cieli / a cui risponde il coro delle stelle / e rende gloria tutto l’universo». Questo è l’amore: dare tutto e nulla tenere (e temere).
Non solo Dio ci chiede di tornare bambini: ci chiede di accoglierlo bambino. Dio non è il totalmente altro, non è l’inconoscibile, l’inarrivabile. È un volto, è un nome. Non è uno che aspetta, è Lui che ci viene incontro: braccia spalancate di bambino, nel pianto e nel sorriso. Un bambino da amare, custodire, far crescere… Gesù che nasce a Betlemme sotto Augusto non è una favola, è storia. Ma a differenza di tutte le altre storie, in quella notte di duemila e passa anni fa la storia si fa salvezza. E oggi come allora, quel Bambino nasce per noi.